Shannon McNally raccoglie i cocci di una carriera promettente e
- come spesso accade anche ai migliori talenti - andata un po' in frantumi
dopo l'interessante Geronimo. Un silenzio discografico interminabile,
cinque anni dall'ultima prova di studio, che viene interrotto cercando
disperatamente le proprie radici di musicista. Coldwater
porta il titolo della località del Mississippi dove queste otto canzoni
sono state registrate in presa diretta, due giorni di prove e una band
rigorosamente dal vivo. Rappresentano anche l'ultima testimonianza di
Jim Dickison (qui al piano) fra le mura del suo Zebra Ranch prima
che ci lasciasse: il mood impresso insieme agli Hot Sauce (Wallace Lester
alla batteria, Jake Fussell al basso e l'ottimo talento di Eric Deaton
alle chitarre) ha il sapore inconfondibile del vecchio marpione di Memphis,
che sembra condurre le danze a distanza, assecondando Shannon McNally
in questa romantica luna di miele sudista. Reso disponibile al momento
soltanto in formato digitale (acquistabile dal sito dell'artista o presso
cdbaby), Coldwater è evidentemente un "ripiego" per leccarsi
le ferite, ma anche una presa di posizione di orgoglio, mostrando un talento
che non si è assopito, ma pare piuttosto costantemente in cerca della
milgiore voce possibile.
Shannon McNally si è incamminata qui sulla via di Lucinda Williams e Mary
Gauthier, pur con un stile southern dall'indole country blues pigra e
cadenzata: l'idea è che l'esuberanza elettrica di Geronimo e della produzione
più mainstream di Charlie Sexton sia oggi ribalatata fra il laid back
di This Ain't My Home, nel sensuale
walzer di Jack B. Nimble, giocando
a carte scoperte perisno nella scelta della cover (due per l'esattezza
su otto brani che hanno voglia di dilatarsi e improvvisare in sala d'incisione).
La prima è una fedele rivistazione, sempre in quella chiave indolente
che arriva dal profondo delta del Mississippi, della Lonesome,
Ornery and Mean di Waylong Jennings, mentre la seconda dylaniana
Positively 4th Street viene affrotata
con più personalità, rischiando forse di stemperare l'epica dell'originale
e tuttavia testimoniando le caratteristiche della McNally.
Una ragazza di New York che ormai ne ha fatta di strada e pare lontanissima
dai miraggi pop rock di inizio carriera o dalle stesse collaborazioni
conn il citato Sexton e Neal Casal. Si è trasferita armi a bagagli a New
Orleans, ha vissuto il dramma di katrina, si è immersa nei suoni e nelle
visioni sudiste, inventandosi chanteuse ricca di sfumature soul (la splendida
Lovely), interprete che mettendo
insieme i sussurri eletrici di JJ Cale (Bolder
Than Paradise), le vibrazioni rock blues di Bonnie Raitt e
la drammaticità dell'america moderna ha scovato uno stile. Tutto in divenire,
perché per una carezzevole Bohemian, Wedding
Prayer Song, ci sono certamente anche momenti più interlocutori
(Freedom to Stay) ed una approsimazione
voluta e cercata dalla stessa registrazione informale. Speriamo sia il
segnale di un pieno recupero. (Fabio Cerbone)