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Dean
Owens
Whiskey Hearts
[Navigator Records 2008]

Razza tosta quella scozzese, sempre pronta a difendere a spada tratta
qualsiasi cosa abbia l'odore del whiskey di casa. Nelle note di copertina
di Whiskey Hearts un'entusiasta Irvine Welsh scrive che
si può anche passare tutto il giorno pescando qui dentro influenze folk,
rock&roll, blues, country e punk, ma gli piace pensare a Dean Owens
come ad un semplice "soul boy". Sarà che da italiani non possiamo partecipare
a tanto compiaciuto cameratismo scozzese, ma a noi più che altro Owens
ha fatto pensare ad un'artista che rimbalza da un'influenza all'altra
come una pallina da biliardo, senza mai esibire nulla di veramente proprio.
Ma se Welsh, scrittore diventato mito dopo il successo di Trainspotting,
ha scelto lui per commentare un suo recente film per la tv (Good Arrows),
una qualche ragione ci sarà.
Owens ci spiega il senso del disco in un video di quindici minuti incluso
nel cd, una piccola intervista che lo vede scorazzare per gli Stati Uniti,
raccontando il mito dell'America con cappello da cowboy dal parco del
Joshua Tree, felice di aver registrato il disco nel Tennessee con musicisti
che sono mito per lui come per noi. Il suo intento era di realizzare un
bell'excursus sugli stili yankee a lui più familiari, e sotto questo aspetto
queste dieci tracce dimostrano che il ragazzo ha studiato bene i fondamentali
del mestiere. Owens gioca con gli stili, passa attraverso grossolani sax
springsteeniani (Years Ago), energici
jingle-jangle rock (Hallelujah) o
affettati cool-pop alla Style Council come Beth
On The Trampoline. Oppure semplicemente si avvia nel roots-rock
più ovvio e mainstream di Just Another Sunday
o nella zoppicante apertura di Sand In My Shoes, fino ad arrivare
a pop rurali senza spina dorsale come Adrift
e Miss You Ca. Whiskey Hearts, è un
prodotto nato nella polvere e impreziosito dalla chitarra spinosa di Will
Kimbrough, credenziali perfette per un disco perlomeno interessante,
ma il risultato appare essere troppo perfetto, troppo elegante e ricercato
per essere anche verosimile.
Il problema non sono tanto le canzoni, in sé per sé nella media del genere,
quanto nella sua vocalità stanca e spersonalizzante, e nella sua tendenza
a infiocchettare il tutto con suoni leggeri e carezzevoli, tanto che anche
una buona ballata come Raining In Glasgow
finisce per sembrare la colonna sonora di una commediola americana di
cassetta a causa di quel suo plin-plin di pianoforte così ovvio e invadente.
Contenti comunque di condividere con lui miti e suoni, soddisfatti anche
quando Owens lascia un po' da parte l'America e fa il folksinger di marca
celtica, finendo per offrire in questa veste i due episodi migliori del
disco (Man From The Leith e la stessa
Whiskey Hearts che chiude bene il
cd). Il viaggio è sempre bello, il bigino di storia della musica americana
è completo, ma della personalità dell'artista si ravvisano ancora troppi
pochi segni. Un difetto non da poco in un mondo pieno di validi e capaci
scolaretti del rock.
(Nicola Gervasini)
www.deanowens.com
www.myspace.com/deanowenspace
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