Rick
Shea
Shelter Valley Blues
[Tres
Pescadores 2009]
Rick Shea è uno che si prende i suoi tempi: da una ventina d'anni
è considerato uno degli esponenti più importanti della scena roots/Americana
della California; lo abbiamo conosciuto come prezioso collaboratore di
Dave Alvin, Heather Miles, Katy Moffatt; ha licenziato in coppia con Patty
Brooker un competente omaggio (Our
Shangri-La) alla country music di un tempo, ma in fatto di
prove a proprio nome è solito dosare con parsimonia la sua presenza. A
conti fatti Shelter Valley Blues è unicamente il suo quinto
lavoro solista e senza dubbio il più interessante dai tempi del notevole
Sawbones (era il lontano 1997), quello in cui la matrice honky tonk e
country blues del chitarrista si sposa con la profonda conoscenza dell'autore
per la tradizione (è stato anche commentatore e giornalista musicale,
innamorandosi da subito del sound di Merle Haggard e della scena di Bakersfield).
Impreziosito da diverse importanti partecipazioni (su tutti David Hidalgo
e Cougar Estrada dei Los Lobos nel divertente intruglio tex-mex di Sweet
Little Pocha, quindi la citata Heathre Miles e naturalmente
numerosi musicisti del florido giro di L.A.), Shelter Valley Blues conferma
le qualità di un musicista poco appariscente, ma di sostanza: la voce
di Shea è profonda e rassicurante, forse non un miracolo di sfumature,
ma ben adatta ad arricchire un piatto di country song fuori moda che fanno
la spola fra Nashville, la California, il Texas e gli anfratti più reconditi
delle radici folk. Manca evidentemente la zampata di un fuoriclasse, così
che la sensazione di avere a che fare con un gregario di lusso è confermata
da un repertorio che potrebbe acquistare valore nelle mani di altri interpreti.
Rick Shea ama peraltro cadenzare i tempi e proporre un sound asciutto,
in presa diretta e senza trucchi, arrivando all'ossatura delle canzoni
(lo fa anche con una interessante, rallentata versione della Fishermans
Blues dei Waterboys, canzone splendida in qualsiasi variante):
dall'honky tonk di Back Home to the Blues al
classico galoppo country rurale di No Good Time
for Leavin' fino al clarinetto di Keith Barry che abbellisce
di sfumature western swing Steady Drivin' Man
si attraversano umori e geografie musicali che hanno l'impronta dell'Americana,
qualunque sia il valore che si voglia dare a tale termine.
Diciamo pure american music e abbiamo risolto l'enigma: nella title track
spira un vento che alza polvere country&western e una Telecaster ricama
con il suo inconfondibile twang, ma alla curva successiva entrano in scena
mandolino e fiddle e con la dolcissima Ty Robby
siamo adagiati sulle acque di un folk di ispirazione irish. Shea ama giostrarsi
tutte le corde della sua scrittura ed è indiscutibilmente competente nel
tracciare un percorso che dalla bluesy e flessuosa Shinbone
Alley si infila nel folk più ombroso di On
the Day of My Return (degna di un Townes Van zandt) passando
dall'arido country blues elettrico di Nelly Bly
e tracciando personaggi, storie, luoghi sufficientemente personali da
non apparire pallide imitazioni del passato. (Fabio Cerbone)