The
Main Street Gospel Love Will Have Her Revenge
[Tee Pee 2010]
È nel solco di una certa riscoperta dei "seventies" più onirici e dilatati
che si inserisce il debutto dei Main Street Gospel, band di Columbus, Ohio,
coalizzatasi intorno alla figura di Barry Dean, già collaboratore in qualità di
percussionista dei Brian Jonestown Massacre. Oggi libero di dare sfogo al songwiriting
psichedelico, fluttuante e un poco "spaziale" che infonde le lunghe cavalcate
del gruppo, Dean si è fatto aiutare dai numi tutelari della scena indie di Akron,
ovvero sia The Black Keys, i quali nella figura di Dan Auerbach hanno tenuto a
battesimo il primo singolo pubblicato dalla band nel 2008. Quartetto completato
con l'innesto di amici di vecchia data, Ryan Tito Ida (basso) e Adam Scoppa (batteria)
a formare la sezione ritmica, con la recente collaborazione per il tour di Vug
Arakas alle chitarre, The Main Street Gospel inaugurano in casa Tee Pee - una
delle etichette più interessanti sul versante della riscoperta di certa classicità
rock all'interno dlela scena indipendente - l'aspetto più sognante e acido di
quella stagione lontana.
Se non mancano alla ricetta di Love Will
Have Her Revenge alcune coloriture agresti, ballate folk impigrite sulle
quali si innestano le chitarre asprigne e la voce zoppiccante e tediosa di Dean,
è pur vero che il cuore dei Main Street Gosel sembra pulsare per un rock'n'roll
più tortuoso e freak, segnato in maniera indelebile dalla rivoluzione californiana
della baia di Sam Francisco, così come dalle recenti riprese ad opera di Black
Angels e Black Rebel Motorcycle Club, magari sporcando il suono con un'attitudine
a tratti più cupa. Fin qui il raggio d'azione circoscritto e le suggestioni generali,
che fatalmente finiscono anche per sfiorare l'atmosfera "vintage" e virata al
blues dei Black Keys (si veda l'episodio isolato di I
Won't Be Stayin'), mercanzia che non basta però a rendere Love Will
Have Her Revenge un disco in grado di estendere il linguaggio e lo stile affrontati:
si accoda insomma ad un copione già visto e sentito troppe volte (dalla scura
title track alla sognante Ready to Shine siamo
immersi fino al collo nell'immaginario della neo-psichedelia), con l'aggravenate
a volte di stiracchiare alcune pretenziose suite, che non paiono in verità approdare
da nessuna parte.
Capita in Fools Gold,
campo di battaglia per estendere a dismisura i solismi della chitarra intorno
a pochi fraseggi, ricercando quasi un'andatura circolare a trasognata che a lungo
andare diventa soltanto una scusa per non chiudere il brano. Più concisi in Getting
Through e Losing Sleep, i Main
Street Gospel rasentano una pigra forma di ballata folk rock che ha ancora le
sue radici nell'età dell'oro a cavallo fra 60's e 70's, ma sembrano poi perdersi
irrimediabilmente nella coda finale, trascinando l'intero lavoro verso la ripetizione
stanca e involuta di Give Your Love Away e
Lay It on the Line Dean. Sono bozze di canzone,
ritmi essenziali che non cavano un ragno dal buco, cercando infine di risalire
la china con una sventagliata di acid rock che ricompare in chiusura di spettacolo
grazie a Sweet Summer Rain. È ancora troppo
poco per iscriverli al club dei più competenti rimestatori del passato. (Fabio
Cerbone)