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Buffalo
Tom
Skins
[Scrawny
Records/ Audioglobe 2011]
 
Eccoli di nuovo i bostoniani Buffalo Tom: questa volta non abbiamo
dovuto attendere altri nove anni prima di avere loro notizie, così come era accaduto
per il penultimo lavoro, quel Three
Easy Pieces (2007) che aveva rivelato confortanti segni di ripresa,
pur non decretando la definitiva uscita dalle sacche della crisi artistica che
aveva avviluppato la band di Bill Janovitz. Le pastoie legate alla incapacità
del gruppo di tagliare il cordone ombelicale con la musica di J. Mascis e i Dinosauri
e una certa generale stanchezza nello stare insieme, avevano spinto Janovitz a
tentare tre sortite soliste, tra il 1997 ed il 2001, che non avevano lasciato
significative tracce del loro passaggio, ma che forse sono servite a ridare energia
e convincimento per la discreta reunion di cui sopra si accennava. Ora, dopo poco
più di tre anni da quell'episodio, ritroviamo i Buffalo Tom che inseriscono il
turbo per progredire ulteriormente, comportandosi così come il buon vino da invecchiamento,
che con il passare degli anni perde l'aggressività dei tannini per diventare più
vellutato e bevibile, ma senza per questo lasciare sul campo carattere e complessità,
al contrario esaltandone le qualità.
Questa, in sintesi, è la caratteristica
di Skins, un disco di tredici canzoni, prodotto dall'amico Paul
Q Kolderie (già con loro per il capolavoro Let me Come Over del 1992) destinato
ad entrare tra i classici dei Buffalo Tom, forse potremo considerarlo uno dei
migliori se sapremo prendere atto che il tempo passa per tutti, musicisti e fan,
per cui certe ruvidezze, come pure la rabbia generata dalla giovane età, che un
tempo tutti noi ricercavamo nella musica e apprezzavamo, ora si sono parzialmente
acquietate. E proprio per questo motivo i contenuti musicali, che ce li avevano
fatti amare, si manifestano ancora ma sotto forme più arrotondate. Nel disco ritroviamo
intatta la grande abilità di Bill nello scrivere melodie che si scolpiscono immediatamente
nella nostra mente come lo splendido singolo Arise,
Watch e forse ancor più in Down,
inoltre la sua voce calda ed energetica e il suo chitarrismo strepitoso che s'impenna
in accelerazioni epiche sono solo il substrato su cui poggiano la ritmica rotonda
e rutilante costituita dal basso di Chris Colbourn e il drumming dal tipico incedere
"rimbalzante" di Tom Maginnis.
Non mancano gli episodi più folk come la
delicata Don't Forget Me cantata in duetto
con Tanya Donnelly (Throwing Muses) caratterizzata da un mandolino assassino
a indicare la direzione della melodia. Conferma assoluta, se ne avevamo bisogno,
sono anche i cori che nell'accoppiata vocale Bill/Chris sono di pregevolissima
fattura e costituiscono uno dei punti di forza delle esecuzioni. Dal lotto delle
canzoni spuntano anche ballatone "gonfie" come Miss Barren
Brooks, quasi Pettyana, come pure la veloce e chitarristica Lost
Week End ma anche brani evocativi tra cui la notevole e lenta Paper
Knife, con echi che stanno tra il Robbie Robertson solista con Lanois
e The Band. Si segnala anche The Kids Just Sleep,
bella, elettrica, acida, con riff chitarristici alla Stones. Ma, credete, non
c'è una canzone fuori posto. Possiamo affermare che i Buffalo Tom sono tornati
in gran spolvero e, crediamo, per restare a lungo: Skins è il disco della riconciliazione
su cui poggia il futuro e la voglia di fare musica di questi tre straordinari
musicisti. (Gianni Zuretti)
www.buffalotom.com
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