inserito 21/02/2011

The Volebeats
The Volebeats
[
Rainbow Quartz  2010
]



Incredibilmente relegati nel più totale anonimato, The Volebeats sono uno dei misteri meglio custoditi dell'alternative country americano, anzi potremmo quasi azzardare che siano la band più misconosciuta del genere: ebbene si, questi ragazzi sono in strada dal 1989, anno del loro esordio Ain't No Joke, militanza scrupolosa nelle fila di un genere che hanno sensibilmente contribuito a edificare. Potremmo a tutti gli effetti considerarli compagni di cordata degli Uncle Tupelo, anche se il quintetto di Detroit, Michigan, ha sempre prediletto l'ala più tradizionalista e nostalgica del genere, richiamando nelle sue armonie vocali e nel gioco di cristalline chitarre la lezione dei Byrds e di certa scuola country rock californiana, magari con l'aggiunta di un elemento british pop non indifferente. Sta di fatto che in più di vent'anni di carriera la band di Jeff Oakes e Matthew Smith, di fatto i timonieri del gruppo, ha dovuto sempre lavorare nelle retrovie, guadagnandosi magari la stima dei colleghi più blasonati (di loro un tempo Ryan Adams disse "The best American Band"), ma lasciando tracce sparse e confuse in dischi quali The Sky and the Ocean o il desertico, sperimentale Solitude.

L'omonimo lavoro targato 2010, ma solo oggi distribuito con una certa capillarità in Europa, è fin dal titolo un tentativo di riassumere questa avventura nell'ombra, con il definitivo "doppio album" capace di cogliere e ampliare ogni sfumatura del loro sound. Diciannove canzoni, quasi settanta minuti di musica: se c'è un difetto da riscontrare in The Volebeats è forse proprio la sua esagerata prolissità, caratteristica che non giova all'attenzione dell'ascoltatore e forse neppure alla qualità innegabile di buona parte del materiale. Di fatto però, escluse le curiosità di un paio di cover insospettabili (See You Tonight firmata da Gene Simmons dei Kiss e la più classica This Is Where I Belong dei Kinks), questa raccolta assume davvero la dimensione di un bignami dell'arte Volebeats: voci morbide, armonizzazioni pop e chitarre jingle jangle che si adattano all'introspezione delle liriche, dando sfogo ad un counry rock rigorosamente analogico (registrato su un otto piste in una vecchia casa a pochi passi dagli studi storici della Motown) che raramente alza un grido, ma preferisce accarezzare in We Don't Like to Forget, farsi romantico in Me and You, esplodere in incantevoli filastrocche pop con Things People Say, diventare rarefatto e impalpabile con Dream Come True.

La pedal steel dell'elemento aggiunto Ryan Gimbert è li a ricordarci la radice country dei Volebeats (You're Wrong la più rurale), anche se è difficile non riconoscere nel loro esplicito revival una ricerca quasi maniacale sulle ambientazioni che furono della british invasion, poi filtrate sotto pelle in certa psichedelia californiana, anche di seconda generazione (si pensi alla prima esperienza del Paisley underground, lato più morbido): Walk There, la sbarazzina I Can tell, una What You've Been Saying che sembra uscita da qualche outtake di Turn Turn Turn dei Byrds sono nell'insieme testimonianze di questa appartenenza, anche ingenua se volete, fuori tempo massimo certamente, eppure sintomo di una band che lavora con dedizione.
(Fabio Cerbone)

www.myspace.com/volebeats
www.rainbowquartz.com

 

   


<Credits>