Joe Purdy
Who Will Be Next?
[
Mudtown Crier Records
2016]

www.joepurdy.com

File Under: political world

di Davide Albini (01/09/2016)

La netta sensazione, spiacevole lasciatemi dire, è che non l'ascolterà nessuno, ma la canzone di protesta risorge fra le note della chitarra e nella voce di Joe Purdy, folksinger duro e puro che ha avuto il coraggio di riprendere un filone nobile della tradizione, che peraltro in questi anni pochi hanno cavalcato, salvo eccezioni post-11 settembre. Who Will Be Next? è una raccolta di ballate che potrebbe uscire da una coffee house del Village, metà anni Sessanta, nel pieno del folk revival: c'è naturalmente il sapore acre del giovane e battagliero Dylan (Children of Privilege lo ricorda fin troppo), gli spiriti indomiti di Woody Guthrie e Cisco Houston, l'austerità acustica di Dave Van Ronk, ma anche un cuore country che riporta verso i troubadour alla John Prine e Townes Van Zandt (Kristine). Le liriche non cadono però nella nostalgia, parlano semmai del nostro presente, o meglio ancora dell'attualità americana, di una nazione ferita dal razzismo strisciante, dalla piaga della diffusione delle armi, dalle stragi apparentemente senza una ragione, dalla divisione classista e dall'enorme disparità di richezza economica.

Purdy ha raccolto dieci canzoni in dieci giorni, come una serie di istantanee, e le ha registrate seguendo quello che gli suggeriva l'istinto, mettendoci la faccia. Il risultato è uno dei dischi più sinceri e commoventi ascoltati in questi ultimi mesi in ambito roots, non necessariamente per la qualità sconvolgente della musica, in sé scarna, essenziale, fedele alle radici di cui si ciba, ma per il combinato di parole e suoni acustici, per la forza del messaggio si sarebbe detto un tempo. È anche il disco più interessante da diverso tempo a questa parte di Joe Purdy, cantautore che abbiamo sempre seguito e in parte apprezzato, spesso però eccessivamente prolifico (quasi un disco all'anno dal 2001, spesso in totale autarchia produttiva) e trascinato dagli alti e bassi della sua scrittura, monocorde e limitata nei registri. Il vero cruccio è che Who Will Be Next? sceglie una forma, quella della ballata folk dal commento sociale, che nel 2016 affascinerà un pubblico ristretto, quando invece i versi di Cursin' Air, canzone su una strage di massa raccontata dai punti di vista delle diverse vittime, o di Cairo Walls, sulle ingiustizie sociali e le discriminazioni razziali perpetrate all'interno degli Stati Uniti, meriterebbero una platea più ampia e interessata.

Purdy d'altronde immagino sia consapevole di questa dimensione su "scala ridotta", ma non sembra curarsene: è probabile che Who Will Be Next? (il brano omonimo, sulla violenza insensata delle armi da fuoco, tra i più potenti, al pari della recente Call What It is di Ben Harper) nasca da un'esigenza profonda, da domande irrisolte che nell'imminente e controversa campagna elettorale, per l'elezione del nuovo Presidente alla Casa Bianca, diventano ancora più pressanti. Si tratta anche di una sfida non indifferente alla sua carriera: avrebbe potuto proseguire con i più remunerativi compensi derivatigli dalle serie tv, che spesso hanno scelto le sue composizioni come colonna sonora, invece Purdy ha tracciato il sentiero del disco con le speranze disilluse di New Year's Eve, per approdare infine a My Country, una filastrocca a tenpo di walzer che riprende la lezione di Woody Guthrie e pare una versione aggiornata di This Land is Your Land. Temerario.


    


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