The Wood Brothers
Paradise
[
Blue Rose/ IRD
2016]

www.thewoodbros.com

File Under: groovy americana

di Fabio Cerbone (13/05/2016)

Strano non avere mai incrociato da queste parti la storia dei Wood Brothers: avremmo giurato che uno qualsiasi dei loro quattro album precedenti fosse comparso sulla pagine virtuali di RootsHighway, tanto è naturale il legame del trio con le radici di certa american music. Corriamo ai ripari con l'ultimo arrivato, Paradise, pubblicato lo scorso autunno sul mercato americano e ora ripreso nell'edizione europea dalla loro etichetta di adozione, la tedesca Blue Rose. Un ripescaggio sacrosanto per uno di quei dischi dove l'intreccio fra gusto roots e pulsioni rock'n'roll si fa meno prevedibile. Le fondamenta restano comunque salde nella tradizione, in quel canone musicale legato in maniera indissolubile con il linguaggio sudista, diciamo idealmente diviso tra New Orleans e Memphis.

Il merito è soprattutto della parte ritmica, lì dove i Wood Brothers - Oliver alle chitarre, Chris al basso - osano contaminare gli accenti blues e lo slancio rock della loro scrittura con qualche deviazione di percorso, tra la filastrocca con toni caraibici di Heartbreak Lullaby, lo sghembo blues cubista di Without Desire e il piccante piatto r&b stile Lousiana di Raindrop, frutto evidentemente della loro preparazione tecnica. Gioco facile visto che Chris Wood è contrabassista assai noto alle cronache del jazz funk con la sigla Medeski Martin Wood, di cui resta elemento indispensabile, mentre il nuovo membro aggiunto Jano Rix, ormai in pianta stabile alle percussioni e batteria, si adatta all'umore dei Wood Brothers, tenendo insieme le anime divergenti dei due fratelli.

Nati quasi per caso una decina di anni fa, dopo che le strade musicali di famiglia si erano separate (Oliver emigrato in Georgia per dare vita al blues rock dei King Johnson, Chris a New York per abbracciare le nuove frontiere dell'avanguardia jazz), oggi premono per una sintesi che metta da parte gli aspetti più sperimentali, ma non si dimentichi delle possibilità strumentali del trio. Meno asciutti che in passato, i Wood Brothers abbracciano un sound elettrico e vibrante, abbandonandosi al mood bollente di Singin' to Strangers e Snake Eyes e chiamando gli amici Derek Trucks e Susan tedeschi a partecipare nella soulful Never and Always o la corista di estrazione gospel Ann McCrary nel finale spiritual di River of Sin. Chris Wood imbraccia persino per la prima volta un basso elettrico, dando l'idea del cambio di passo: il tentativo sembra funzionare e anche quando Paradise sceglie soluzioni più immediate, i suoi sbalzi di temperatura e le trame percussive garantiscono di non scadere nei clichés di genere.

Una ballata elettrica come American Heartache, per esempio, "sbanda" a più riprese e sfodera graffianti sprazzi di elettricità, eppure ritrova sempre la strada di casa, mentre lampi soul quali Two Places e bozzetti tradizionali del tenore di Touch of Your Hand ricordano da vicino un'altra colorita banda che sconquassò le southern roots, The Subdudes, stretti parenti dei fratelli Wood.


    


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