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broken promises di
Fabio Cerbone
(24/11/2017)
Ci
aspettavamo un altro finale per Scott Miller, lo abbiamo ripetuto più volte
in anni recenti. Per chi fosse sprovvisto delle giuste coordinate, ricordiamo
che il songwriter del West Virginia, ormai prossimo alla cinquantina, fece il
botto con l'esordio solista Thus Always to Tyrants nel 2001, diventando una delle
promesse mai mantenute della scena roots rock americana. In precedenza c'era stata
anche la sfortunata parentesi dei V-Roys, piccola rock'n'roll band in cui condivideva
la leadership e portata alle attenzioni del grande pubblico per la presenza al
fianco di Steve Earle, il quale li condusse sotto l'ala della sua etichetta E-Squared.
Circostanze infelici, treni persi all'ultimo minuto, ma anche un talento
mai davvero sbocciato, Miller ha proseguito con una serie di uscite discografiche
tra il dignitoso e il trascurabile, inventandosi cantore di un'America blue collar,
rurale e defilata, la stessa che lo ha visto crescere nel ranch di famiglia. Da
qualche tempo Scott è persino tornato all'ovile, prendendosi cura degli anziani
genitori e portando avanti l'attività di allevatori nella fattoria in Virginia.
La carriera musicale pare insomma un diversivo da tenere in vita con qualche tour
e una manciata di nuove canzoni, ma senza più l'assillo di arrivare in cima. Ladies
Auxiliary conferma questa sorta di understatment, con poche pretese e
un'atmosfera acustica e informale che esalta le radici folk appalachiane dell'autore,
un mix di country, bluesgrass e canzone d'autore che ha perso definitivamente
la spinta elettrica, a favore di un desiderio narrativo che indaghi piccole storie
di provincia, tra la disperazione di Somebody/ Sometime,
vicenda di un padre che perde una figlia suucida, ispirata dalla figura di una
ragazza realmente conosciuta da Scott Miller nel suo paese, e il lungo talkin'
folk di Lo Siento, cronaca della decandeza
di una cittadina, Spanishburg, nella natia West Virginia, dove i vecchi abitanti
sono stati soppiantati da ricchi pensionati in ritiro dorato.
I temi e
le suggestioni non mancano, come si può notare, e su questa linea proseguono Ten
Miles Down the Nine Mile Road, This River's Mine / This Valley's
Yours, con punte autobiografiche e sincere in Middle
Man, la musica però si fa semplice e raccolta, con uno stuolo di musiciste
donne (da qui l'allusione del titolo...) ad accompagnare Miller, senza mai uscire
dal seminato della tradizione. Due violiniste nelle figure di Rayna Gellert (anche
al banjo) e Deanie Richardson, Bryn Davies al basso, Jen Gunderman dei Jayhawks
al piano, Megan Carchman alle percussioni e la chitarrista e produttrice Anne
McCue sono le compagne di questo viaggio, aperto dalla romantica Epic Love,
e dalla sua sfruttata e minimalista progressione di accordi, e riempito con curiose
cover (With Body and Soul, dal repertorio di Bill Monroe, e la spassosa
Mother-In-Law) e brani dal piglio un po' swing e rockabilly (Get Along,
Everybody).
Tutto gradevole e conciso, ma è come se Miller giocasse
in ritirata, nel suo comodo guscio folk, ormai lontano dalle ambizioni di un tempo.