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heartland songwriters di
Fabio Cerbone
(11/10/2017)
Nell'epoca
degli streaming su Spotify, delle visualizzazioni su Youtube e dell'autoproduzione
dal basso, Ron Pope ci tiene a spiattellare la sua vincente biografia di
rocker indipendente, con dati impressionanti per un outsider come lui. Si parla
di milioni di "seguaci", ma a conti fatti sembra sempre che manchi qualcosa, una
concretezza che, nel caso del rock'n'roll da cui nasce lo stesso Pope, pare un
dato essenziale per conquistarsi una qualche credibilità. Di questo figlio della
Georgia, emigrato a Nashville come tanti alla ricerca di fortuna (un paio di singoli
per la Universal, ma un contratto finito nel nulla) avevamo già parlato in occazione
del suo binomio artistico Ron
Pope & The Nighthawks, un disco a trazione southern rock nel 2016 che
non sembra averlo portato particolarmente lontano.
Oggi, con il settimo
disco in carriera (ma ci sono live, ep e singoli sparsi in lungo e in largo, basta
dare un'occhiata al suo sito), Pope torna all'autarchia del solista e intitola
Work una raccolta di dieci canzoni che partono con il piglio del
rocker sudista ma finiscono presto per abbracciare l'intimità del folksinger dall'accento
tradizionale. Sempre prodotto in Tennessee con il supporto dell'esperto Ted
Young, con la collaborazione di una decina di musicisti e qualche efficace
duetto femminile (tre le altre Mary Richardson dai Banditos), l'album inganna
nella partenza svelta e accattivante di Bad for Your
Wealth e Let's Get Stoned, r&b che incrocia rock'n'roll dall'aria
confederata, una sezione fiati sbarazzina e un bel tiro radiofonico. Niente di
eccezionale a livello compositivo, ma due fiammate piacevoli che fanno apparire
Ron Pope come una versione ridotta di Will Hoge. Anche il terzo episodio, Can't
Stay Here, gironzola da quelle parti, con il cuore che batte per l'heartland
rock e la classica lezione di Tom Petty.
Materiale un po' rimasticato
ma efficace, che tuttavia lascia presto spazio alla vera anima del disco, una
sequenza di ballate dall'ambientazione rootsy e acustica, forse testimonianza
dei temi trattati da Pope: ricordi familiari del padre, scorci di gioventù bruciata
al college, il desiderio di un riscatto nella musica, come sottolinea la stessa
Work ("voglio lavorare per vivere e non vivere per lavorare"
dichiara Ron, orgoglioso della sua indipendenza di artista). Il tono country e
southern dei brani, il dialogo fra piano, violino e banjo rendono The Last
e Someday We're All Gonna Die gradevoli
dejà vù di un songwriting a tinte rurali nel mezzo del quale sguazzano tanti (troppi)
giovani talenti. Il rischio è proprio che Ron Pope, bella voce soulful non c'è
che dire, faccia fatica a distinguersi e a trovare una personalità. Le atmosfere
romantiche di Partner in Crime e The Weather, uno dei tanti brani
spalleggiati dalla presenza di voci femminili, il solo di tromba piazzato nel
mezzo di Dancing Days o la chiusura solo voce e chitarra di Stick Round
non bastano a fare di Work un disco che possa lasciare grandi tracce dietro
di sé.