La decisione di impegnarsi
"full time" al servizio della musa della musica, Euterpe, il
giovane Kevin Daniel l’ha presa in seguito a due eventi che hanno
segnato la sua vita: il primo è stato il trasferimento dalla provincia
americana alla Grande Mela, New York, il secondo invece la tragica fine
dei genitori, piloti amatoriali, durante un volo di rientro in North Carolina.
Entrambi gli eventi, sebbene di natura opposta, hanno plasmato il carattere
e la volontà di Daniel, tracciandone il sentiero da seguire. Il suo primo
flusso di ispirazioni attinge dall’esperienza traumatica dei genitori.
Da lì, il primo EP intitolato non a caso Fly del 2014, un secondo
EP, Myself Through You del 2017, fino al qui presente primo vero
album Things I Don’t See, due anni dopo.
Nel disco Daniel si accompagna a Will Bryant (organo e tastiere), Lee
Falco (batteria) e Brandon Morrison (basso) già con gli Hudson Valley’s
e The Restless Age, il chitarrista Jon LaDeau, che ha militato in band
come The National Reserve e infine Anthony Krizan degli Spin Doctors.
Anche se le premesse di cui sopra e la biografia dell’artista sono molto
canoniche, affondate nei suoni della classica etichetta country/americana
(che come genere sta agli USA come il liscio all’Emilia Romagna) e non
lasciano presagire grandi novità, l’iniziale City
That Saves, un po’ stradaiola e ruffiana, fa presa. Anche Feelin
’ Good, che richiama lo stile di Ryan Bingham, è interessante, con
un walking bass che fa da traccia sopra la quale si dipana un ritmo galoppante
di batteria. Due fiati non ci sarebbero stati male, magari Kevin terrà
il mio consiglio per il remaster dell’edizione deluxe dei vent’anni dall’uscita...
La traccia che da il titolo all’album, Things
I Don’t See, è dedicata ai genitori ed è carica del dolore
della perdita, che si riflette nel testo e nell’interpretazione. Da Used
To Be si torna invece al country più classico e un po' risaputo. Si
snocciolano velocemente Pour Me A Drink, Jupiter, 7.22,
Xanax, Cocaine, & Whiskey, ricalcando gli stilemi della country
music nei temi (bere per dimenticare, ad esempio) e nei modi (duetti con
voce femminile in Name of Fame e Time To Rise, violini e
lap steel a profusione). Niente degno di particolare nota se non la bravura
(ma almeno quella la diamo per scontata) dei musicisti che lo circondano.
Kevin Daniel ha una lunga strada da compiere, il numero di aspiranti nuove
stelle del panorama Ameircana e country è maggiore di quello che
compone la Via Lattea, ma per riuscire ad emergere bisogna brillare più
delle altre. Al momento la “luccicanza” di Kevin non è ancora sufficiente
a farlo risaltare nel firmamento dell’American music. Aspettiamo il prossimo
giro.