Un album incolore: mi verrebbe
da definirlo così Natural Disasters, il nuovo disco di Matt
Woods, uscito a fine giugno per la Lonely Ones Records, il quinto
di una carriera iniziata nel 2008 con l’acustico Broken Stings & Beer
Specials. Incolore perché da una parte in questo lavoro non c’è niente
di sbagliato, ma dall’altra non c’è niente di nuovo: può essere un disco
godibile, ma allo stesso tempo un piatto insipido che lascia indifferente
l’ascoltatore. Anche ascoltando i dischi precedenti, con Natural
Disasters il cantautore non entra in territori sconosciuti, semmai
ripropone il suo, senza sconfinare, mostrandosi garante di un prodotto
con cui ormai ha fidelizzato il proprio pubblico.
Il disco è rockeggiante, con momenti riflessivi ma principalmente vivace
e pieno di energia: la prima traccia, autobiografica, Blue Eyed Wanderer,
ne è una chiara dimostrazione, con uno stretto rapporto tra basso,
elettrica e batteria che trascina il brano ad un ritmo veloce, in cui
la voce di Woods si inserisce senza fatica. Pergli altri episodi si può
dire che la direzione presa sia la stessa, filando via senza pretese particolari
per le vostre orecchie, parlando d’amore (Hey Heartbreaker) o di
storie autobiografiche (Sitcoms), che non destano riflessioni o
problemi esistenziali (tranne forse in The Devil
Drinks Scotch, un lento in cui il narratore si interroga su
chi tenga in mano il destino degli uomini). E’ inserito anche un brano
sulla prigione e sull’essere prigionieri, Jailbird
Song, tema caldo nella cultura country (Folsom Prison Blues
di Johnny Cash, per citare un caso famoso), in un tono allegro e sfrontato
che merita la giusta attenzione, emergendo di più rispetto gli altri.
Ma il brano del disco che ho apprezzato di più resta
My Southern Heart: una traccia delicata con un’acustica dominante
e l’elettrica che arricchisce con brevi accordi il tema centrale; l’armonica
affonda un colpo in più, che rende il brano pregevole e malinconico, creando
una forma musicale combaciante perfettamente con il testo: “I know some
night, You’ll find another underneath those northern lights”. Con la ripetitiva
Corner Of The World si chiude l’album in maniera piuttosto anonima,
con un brano simile ai precedenti. Insomma, la mia idea su Natural
Disaster è chiara: se per caso conoscevate Matt Woods, questo nuovo
disco può piacere, se invece lo ignoravate fino ad oggi, è difficile che
vi stupisca o che vi spinga all’ascolto.