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honky tonk man
di Davide Albini (09/05/2020)
Difficile sbagliarsi sul
conto di Jesse Daniel, basta uno sguardo alla copertina del suo
secondo album, Rollin’ On: me lo immagino già il suo curriculum
musicale, parlano per lui i vestiti, il cappello di ordinanza, ma anche
quei tatuaggi che appaiono sotto la camicia, un po’ punk nello spirito
e un po’ country nell’aspetto esteriore. In effetti non ci sono andato
lontano: questo ragazzo poco più che ventenne di Santa Cruz, California,
sembra avere vissuto più dei suoi anni, con la solita trafila di una vita
scapestrata e vizi connessi, che lo hanno portato a frequentare i locali
della San Lorenzo Valley cercando musica e sostanze proibite, senza distinzioni,
fino all’arresto, al carcere e al seguente periodo di riabilitazione.
Per fortuna, se siamo qui, è perché c’è un lieto fine, come nelle storie
americane migliori, che nel caso di Daniel ha voluto dire una svolta con
il suo album di debutto del 2018 e con l’interesse che è nato intorno
al suo country rock in puro stile Bakersfield, ovvero sia quel suono diventato
leggenda e legato all’omonima cittadina californiana, nato nei 60s per
mano di Buck Owens e Merle Haggard. Grosso modo sono loro, insieme a un
discepolo come Dwight Yoakam, le figure di riferimento assolute di questi
dodici brani di spigliato honky tonk elettrico, classico twang sound accentuato
dalle Telecaster e dal dialogo con la pedal steel e il violino per la
parte melodica, con una goccia di Texas che scorre nelle vene. Quest’ultima
è merito del produttore Tommy Detamore (un veterano della scena che ha
lavorato con Doug Sahm, James Talley, Jim Lauderdale e decine d’altri),
che ha trascinato il nostro Jesse fino a San Antonio, dove il disco è
stato inciso in scioltezza.
Si alternano canzoni di chiara ispirazione autobiografica, tra le quali
la ballad dal sapore tex-mex Champion,
la dolce cadenza country di Old at Heart e la chiusura a tempo
di valzer con Son of the San Lorenzo, con altri episodi più briosi
e rinvigoriti dalla rinascita personale come Tar Snakes, la stessa
Rollin’ On (che è puro Yoakam sound)
o la spassosa Mayo and the Mustard. Il merito della scrittura è
da condividere con la compagna (e seconda voce) Jodi Lyford, perché in
fondo sappiamo che c’è sempre una donna dietro certe improvvise redenzioni:
e a lei va dunque un ulteriore ringraziamento per averci fatto scoprire
questo nuovo giovane ambasciatore di Bakersfield, che sa come toccare
il cuore con la confessione di St. Claire’s Reatreat
(roba che pare uscire pari pari da un vinile di Owens di metà
anni Sessanta, credetemi), menare le danze dell’honky tonk con If You
Ain’t Happy Now (You Never Will Be), Bringin’ Home the Roses
e Old Money, Honey (tragicomica storia del musicista on the road),
facendo brillare la stella del country più stradaiolo attraverso il racconto
di Sam.
Quello che gioca a suo favore è la freschezza del repertorio e la convinzione
che ci mette in quello che canta, anche se resta scontato l’approccio
nostalgico con il quale Daniel affronta il genere: i maestri qui non si
toccano, si venerano, e certamente personaggi come Sturgill Simpson o
Chris Stapleton sembrano avere un approccio più radicale.