Rock’n’roll da ultimo dei
romantici, dieci canzoni che viaggiano spedite e una manciata di ballate
elettriche che abbracciano il suono della città, delle backstreets, il
battito della strada americana e lo scintillio del glam inglese, facendone
un’onesta sintesi. Potrà suonare di seconda mano o in ritardo sullo scorrere
inesorabile del tempo, ma la musica di Richard Davies e dei suoi
“dissidenti” (un nome, un destino) possiede la sfrontatezza di non allinearsi
allo spirito dei contemporanei, inseguendo quella “oscurità ai margini
della città” su cui si è costruita una buona parte dell’ideologia rock
più periferica.
Human Traffic è il disco d’esordio vero e proprio del chitarrista
di Wiltshire, una carriera nell’ombra come membro dei Tiny Monroe (qualche
minuto di gloria negli anni 90 come meteore del brit pop) e The Snakes
(rappresentanti dell’Americana in abiti inglesi), passando per festival
di prestigio (da Glastanbury a Reading) e collaborazioni importanti (una
che pare assai rivelatrice è quella con Peter Perrett degli Only Ones).
Insieme a un trio di base (Tim Emery al basso e Chris Cannon alla batteria),
aggiungendo dosi abbondandi di piano e organo per enfatizzare il sound
da ballata rock urbana, Davies si presenta in copertina elegante e ribelle
come un novello Johnny Thunders e si immerge in quell’immaginario sonoro
che da Ian Hunter arriva oggi a Jesse Malin passando per Tom Petty e Peter
Wolf. Senza garantire gli stessi risultati e pari qualità, Human Traffic
è uno di quei “B-records” che fanno la felicità di chi cerca nel rock’n’roll
un po’ di sincerità e canzoni che sappiano scaldare il cuore: qui si comincia
con la title track e non si molla la presa fino alla chiusura di No
Man’s Land, che rimanda ai fuochi newyorkesi di gente
come i Del-Lords.
Nel mezzo ci sono melodie che catturano con facilità e riff a ripetizione,
un’elettricità sbarazzina che vira al power pop in
Lay Me Low e nella byrdsiana Echo Road, scrive l’abc
della ballata urbana in Way of the Wild,
alla maniera di un giovane Willie Nile, e strizza l’occhio al mainstream
rock più nobile di marca seventies con il singolo 21st Century Man
e (Long Road) To Your Heart, la quale, siamo pronti a scommettere,
Jesse Malin farebbe carte false per aver scritto. Nel correre veloce dei
suoi trentacinque minuti, Human Traffic trova lo spazio anche per
due cover: Under the Skin torna ai giorni dei citati Tiny Monroe
e mostra in effetti la faccia più british della scrittura di Richard Davies,
voce peraltro perfettamente calata nel ruolo che si è scelto, mentre il
vero asso nella manica e dimostrazione ulteriore delle sue fonti d’ispirazione
è una frizzante Heartbeat Smile di
Alejandro Escovedo (dall’album Burn Something Beautiful), che sembra
confessare tutte le piacevoli debolezze di questo dandy inglese dall’anima
intensamente classic rock.