Richard Davies & The Dissidents
Human Traffic

[Bucketfull Of Brains 2020]

Sulla rete: facebook.com/richarddaviesandthedissidents

File Under: street rock


di Fabio Cerbone (29/08/2020)

Rock’n’roll da ultimo dei romantici, dieci canzoni che viaggiano spedite e una manciata di ballate elettriche che abbracciano il suono della città, delle backstreets, il battito della strada americana e lo scintillio del glam inglese, facendone un’onesta sintesi. Potrà suonare di seconda mano o in ritardo sullo scorrere inesorabile del tempo, ma la musica di Richard Davies e dei suoi “dissidenti” (un nome, un destino) possiede la sfrontatezza di non allinearsi allo spirito dei contemporanei, inseguendo quella “oscurità ai margini della città” su cui si è costruita una buona parte dell’ideologia rock più periferica.

Human Traffic è il disco d’esordio vero e proprio del chitarrista di Wiltshire, una carriera nell’ombra come membro dei Tiny Monroe (qualche minuto di gloria negli anni 90 come meteore del brit pop) e The Snakes (rappresentanti dell’Americana in abiti inglesi), passando per festival di prestigio (da Glastanbury a Reading) e collaborazioni importanti (una che pare assai rivelatrice è quella con Peter Perrett degli Only Ones). Insieme a un trio di base (Tim Emery al basso e Chris Cannon alla batteria), aggiungendo dosi abbondandi di piano e organo per enfatizzare il sound da ballata rock urbana, Davies si presenta in copertina elegante e ribelle come un novello Johnny Thunders e si immerge in quell’immaginario sonoro che da Ian Hunter arriva oggi a Jesse Malin passando per Tom Petty e Peter Wolf. Senza garantire gli stessi risultati e pari qualità, Human Traffic è uno di quei “B-records” che fanno la felicità di chi cerca nel rock’n’roll un po’ di sincerità e canzoni che sappiano scaldare il cuore: qui si comincia con la title track e non si molla la presa fino alla chiusura di No Man’s Land, che rimanda ai fuochi newyorkesi di gente come i Del-Lords.

Nel mezzo ci sono melodie che catturano con facilità e riff a ripetizione, un’elettricità sbarazzina che vira al power pop in Lay Me Low e nella byrdsiana Echo Road, scrive l’abc della ballata urbana in Way of the Wild, alla maniera di un giovane Willie Nile, e strizza l’occhio al mainstream rock più nobile di marca seventies con il singolo 21st Century Man e (Long Road) To Your Heart, la quale, siamo pronti a scommettere, Jesse Malin farebbe carte false per aver scritto. Nel correre veloce dei suoi trentacinque minuti, Human Traffic trova lo spazio anche per due cover: Under the Skin torna ai giorni dei citati Tiny Monroe e mostra in effetti la faccia più british della scrittura di Richard Davies, voce peraltro perfettamente calata nel ruolo che si è scelto, mentre il vero asso nella manica e dimostrazione ulteriore delle sue fonti d’ispirazione è una frizzante Heartbeat Smile di Alejandro Escovedo (dall’album Burn Something Beautiful), che sembra confessare tutte le piacevoli debolezze di questo dandy inglese dall’anima intensamente classic rock.


    


<Credits>