Ruben Levi Rhodes
Abbeville

[Ruben Levi Rhodes 2020]

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File Under: new cowboy in town

di Marco Restelli (09/06/2020)

Ruben Levi Rhodes, giovane “cowboy” originario del sud della California, ha scelto per così dire il low profile per iniziare la sua carriera di songwriter nell’ambito dell’Americana. Infatti, non solo ha fatto a meno di affidarsi ad una etichetta (e fin qui siamo ormai nell’ordinario), ma soprattutto ha scelto con sorpresa di evitare ogni “vetrina” social, centellinando al massimo le informazioni a suo riguardo (non ha neanche il classico sito web). Se, da una parte, questo rende forse un po’ meno agevole scrivere una recensione del suo Abbeville - prima prova sulla lunga distanza dopo l’EP Ghosts del 2019 - dall’altra lascia ben sperare l’idea che quando la musica è di qualità, trova sempre e comunque il suo spazio per uscire dall’anonimato totale. E, devo dire, questo album merita veramente di essere ascoltato perché ci regala ben 14 canzoni, per un’ora complessiva di spensieratezza, con tutte le sfumature del genere succitato, arricchite da una voce calda e da arrangiamenti sempre funzionali al variare del mood.

Entrando nel merito dei brani più significativi, Sunday Song apre alla grande il disco con una splendida ballata midtempo che sembra un out-take di Mescalito di Ryan Bingham: le chitarre elettriche ed acustiche suonano le danze, un'armonica ispirata entra al momento giusto e la melodia è di quelle a presa rapida. Seguono, subito a ruota, la più stradaiola White Line Flynn che ti aspetti di ascoltare in un bar-saloon di periferia, un venerdì sera qualsiasi, e l’avvolgente Lonesome Is Never Alone il cui sapore più country è condito da un’immancabile pedal steel guitar. Anche l’intrigante primo singolo Avery usa le stesse spezie dell’ultimo brano ora descritto, ma i violini aggiungono anche un profumo bluegrass che devo dire non stona affatto. California ha un andamento cullante d’altri tempi e si pone già al primo ascolto come uno degli episodi meglio riusciti di Abbeville, mentre Me And Maria - nella quale compare per la prima volta la fisarmonica – è un lentone dal sound latineggiante che potrebbe facilmente piacere ai fan dei Los Lobos. Il primo lato termina con Ford Truck, dal piglio cinematografico, che butta sul tavolo tutte le carte migliori dell’artista (leggasi tutti gli strumenti di “cornice” fino ad ora citati) trasportando piacevolmente ogni ascoltatore nei luoghi da sogno che la sua immaginazione gli suggerisce.

L’omaggio un po’ dilanesque della ballata elettrica Like A Gambler’s Dice, l’organo trascinante dell’uptempo Talkin Cannonball Blues, la dolce acustica (piano e chitarra) Waiting On A Train (qui devo dire mi ha ricordato molto Don Henley) formano un altro tris d’assi da non perdere. Alla fine, facendo i conti, risulta evidente che in questo album di Rhodes non c’è proprio nulla da scartare, così che l’augurio che mi sento sinceramente di fargli, nonostante le difficoltà derivanti dalle premesse evidenziate nell’introduzione, è che Abbeville raggiunga più orecchie possibili in giro per il mondo e almeno per una volta la bellezza trionfi sul marketing. Ottimo esordio.


    


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