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alt-country, americana
di Luca Volpe (11/04/2020)
The Roseline, ovvero
Colin Pepper Halliburton, l'unico rockettaro country che posi su Discogs
con una maglietta degli Europe. Blood era stato un disco fiacco
e poco incisivo, poi è successo qualcosa: la morte della madre e di Ehren
Starks, tastierista e amico, artefice di parte del suono della creatura
di Colin. Da sempre segnato da attacchi di panico, come uscire se non
con un disco da una possibile spirale depressiva, come salvarsi se non
con la musica? Dev'essere stato un lavoro placido e tranquillo o duro
e intenso? Forse tranquillamente intenso, come le canzoni di questo Good/Grief,
un album che lo riporta in parte ai fasti di quel Vast as Sky che
lo aveva lanciato a inizio dello scorso decennio come una delle possibili
nuove stelle del rock classico di matrice settantiana.
Perchè è qui che la direzione del nostro s'incunea, senza stravolgimenti
sperimentali, senza compromessi: puro amore per quelle sonorità riprese
da alcuni sparuti pionieri del country alternativo ma sempre rock. Pur
essendo un disco chitarristico (pieno di chitarre acustiche rotonde),
nell'impasto sonoro c'è molto oltre che di Joel Nanos (tecnico) e della
nuova pianista, Heidi Gluck, vecchia consocenza di Juliana Hatfield. Magistralmente
diretto, il disco suona bene e incanta per la sua sincerità, che l'autore
ha espresso con un pugno di canzoni oneste e segnate da un velo di malinconia.
Better to the Bone è un chiaro modo
d'iniziare col piede giusto: chitarre acustiche, batteria asciutta ma
non scarna, basso pieno, pianoforte cristallino; musica per incantare,
primaverile. Ghost Writer potrebbe essere un brano di chiunque
e un po' banale, ma questo quasi pop segnato dalla voce bella e cristallina
del nostro, è un gioiello, dal ritornello degno degli Eagles. Counting
Sheep cerca l'azzardo: un rischioso matrimonio fra gli Stones
e Dylan, e funziona attraverso un brano garbato e compito. Quartz to
Digital è un po' riempitiva, ma il disco si riprende con il country
soul di I Guess That's Just How it Goes,
che plana dolcemente verso Jackson Browne e Cat Stevens, con un ritornello
che balza fuori dagli anni Settanta.
Se il disco sembra giungere in territori segnati da eccessi melensi, quando
il gioco si fa duro Halliburton tira fuori dal cilindro il power pop di
Inside out, chitarra ruggente come i maestri Cheap trick. Pleasent
Feather, fin dal titolo riconcilia col mondo in un casalingo brano
leggero che gioca con la musica alternativa più dolce di inizio anni Novanta.
Il disco culmina nella ballata epica Green Flash,
capolavoro di raffinatezze totali, dove pianoforte e chitarra giocano
con la voce in una rincorsa fra prati e boschetti tranquilli. Il disco
si chiude con una Song for Ehren, dovuta all'amico scomparso, molto
alternativa, ma è così sentita da essere giusta. Bentornato, Colin.