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blue-collar resistance
di Davide Albini (09/10/2020)
Non avevamo notizie di
Scott McClatchy, rocker e autore della East Coast, da qualche anno.
In verità, un suo album prodotto a Nashville con Billy Lee, A Dark
Rage, ci era proprio sfuggito di mano e quindi cerchiamo di recuperare
il tempo perduto e di farci perdonare la macanza segnalando quasi in diretta
l’uscita di Six of One. La foto di copertina ritrae McClatchy
con la sua banda tra acustico ed elettrico, e la presenza di mandolino,
violino e fiati evidenzia le due anime del songwriting: da una parte una
matrice folk, seppure spesso elettrica, nelle ballate, e dall’altra una
decisamente allineata alla tradizione del cosiddetto Jersey sound e del
rock’n’roll più sanguigno. D’altronde il nostro Scott, una carriera nell’ombra
come leader degli Stand (sua prima formazione a Philadelphia) e poi come
chitarrista e collaboratore di Dion, Willie Nile e Scott Kempner (Dictators
e Del-Lords, che produsse l’ottimo Redemption, album del 2010 di
McClatchy), non fa mistero del suono che lo ha influenzato e che caratterizza
la sua scrittura musicale.
Anche la scelta delle cover, sempre presenti nei suoi dischi (ricordo
in passato una notevole The Weight della Band, come anche la
No Surrender di Springsteen), denota questa scelta di campo: in Six
of One ce ne sono la bellezza di sei, che passano da Heat
Treatment di Graham Parker all’amata The Band con il classico
Ophelia , da Grand Central Station
di Steve Forbert fino a materiale più recente come Smoke dei Lucero
e Summer of 89 di Butch Walker. Ulteriore dimostrazione di quale
direzione prenda l’album, sulla scia dei tanti eroi più o meno decantati
di quel rock’n’roll urbano che ha segnato il battito delle strade newyorchesi
su fino al New Jersey: ci potremmo aggiungere il Southside Johnny che
sembra emergere prepotentemente dagli originali Rock
and Roll Romeo e Roving Eye, magari passando per Bob
Seger, mentre Wedding Day Dance ha un’aria più irish country e
romantica, Break Even asciuga il suono tornando alle fondamenta
folk e Suite: Laura Blue Eyes, ballad in due tempi fra acustico
ed elettrico, si ispira al ben noto capolavoro di Crosby Stills & Nash.
Tanta generosità quindi da parte di Scott e del gruppo, a cui si aggiungono
per fare festa i vecchi amici Eric Ambel e Scott Kempner (entrambi mattatori
dei citati Del-Lords) così come Tommy Womack, tutti ospiti di un disco
che credo abbia nella sua onestà di fondo un pregio e un difetto allo
stesso tempo. Richiamando quel rock blue collar di cui sopra, quell’idea
romantica di America, svela anche i suoi limiti: ne rappresenta un buon
duplicato, una rievocazione storica, anche un atto di resistenza se volete,
ma nel sound così artigianale e schietto mostra anche di non uscire mai
da un certo amarcord, qualche volta generando più entusiasmo e curiosità
per le cover scelte che non per il materiale originale. E questa è un
po’ una piccola condanna da scontare per il nostro McClatchy.