Strade e cieli stellate,
l’esistenza raminga del sud degli Stati Uniti come way of life,
la gomma bucata del Van in copertina come simbolo della voglia di superare
ogni ostacolo pur di suonare la propria musica. Parlano chiaro fin dall’immagine
di copertina Robert Jon & The Wreck, logico quindi aspettarsi fin
dal primo brano una ballata di cara vecchia southern music come Oh
Miss Caroline, con il suo ritmo blando, la sua epica a pacchi
nel testo e nel coro da grandi spazi, e l’aggiunta di assoli di chitarre
taglienti. Insomma, l’ennesima band che conferma che se certa blue-collar
music urbana fa ormai sempre più fatica a trovare nuovi convincenti eroi,
la musica rurale del sud invece persevera nel rigenerarsi in nuove realtà
(penso agli Steel
Woods, per esempio), che si guardano bene dallo spostare una
qualsivoglia riga o regola grammaticale scritta a suo tempo dagli Allman
Brothers Band, dai Lynyrd Skynyrd, o in questo caso metterei anche i Marshall
Tucker Band.
Non si distinguono certo in originalità quindi neanche Robert Jon & The
Wreck, combo attivo senza soste e cedimenti da una decina d’anni, composto
da Andrew Espantman alla batteria, Steve Maggiora alle tastiere, Henry
James alla chitarra e Warren Murrel al basso. Last Light on the
Highway è un disco che dimostra quindi il buono stato di salute
di quel sound, e ovviamente riceve un nostro semaforo verde presupponendo
che è quello che cerchiate, visto che resta un prodotto buono solo per
i cultori di nicchia e siamo ben lontani dalla possibilità che possa succedere
quello che erano riusciti a fare i Drive By-Truckers negli anni Duemila,
e cioè far ascoltare musica southern-rock anche ad un pubblico abituato
a ben altro. Robert Jon Burrison comunque sa il fatto suo, indulge forse
troppo spesso nell’escamotage della ballata sudista (Tired of Drinking
Alone, Gold, One Last Time, This Time Around) ma senza
mai in fondo sbagliarne una, e dimostra di saper anche pensare in grande
con la suite finale in due parti di Last Light
on the Highway, tra orchestrazioni elaborate e chiari echi
degli Eagles di The Last Resort.
L’album trova i punti più interessanti proprio nei momenti più melodici,
perché quando Jon dà spazio al blues e alle chitarre, invade territori
dove ancora non impensierisce band come i Gov’t Mule (Don’t Let Me
Go), o segue con eccessiva fedeltà lo schema della soul -song sudista
alla Eddie Hinton (Work It Out). In ogni caso se sognate di trovare
ancora registrazioni in stile Capricorn Records passate pure di qui, nel
2020 sapere che questa musica è ancora viva fa comunque bene al cuore.