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american songs
di Davide Albini (31/07/2021)
Dieci canzoni, minutaggio
essenziale come i dischi di una volta, e un suono ben bilanciato tra ballate
roots e rock dal gusto melodico, che rendono bene l’idea del songwriting
di Jesse Brewster, californiano giunto al quinto lavoro in carriera
con le credenziali di un musicista abbastanza eclettico. Produttore e
polistrumentista che spesso incide con spirito indipendente (accade anche
per il nuovo album, in buona parte suonato dal solo Jesse), Brewster vanta
infatti una serie di progetti che passano dalla collaborazione in un trio
di impostazione hard rock e persino ad una rock opera in lavorazione per
i teatri di Broadway, mentre una sua composizione è stata utilizzata dal
network televisivo della CNN come colonna sonora per i servizi sulla recente
campagna presidenziale americana.
The Lonely Pines, titolo e copertina che ci rimandano a tratti
bucolici, è un album nasce da temi autobiografici, anche molto
personali (Brewster è affetto da una seria malattia genetica ai reni e
ha subito un trapianto, mentre il fratello non ha avuto la stessa sorte
qualche anno fa, lasciando una ferita aperta nello stesso Jesse), e si
sviluppa nel mezzo della crisi mondiale per la pandemia, alternando quindi
brani con una dimensione più sociale, tra cui spicca inevitabilmente la
riflessione di Close to Home, ad altri in cui sembrano affiorare
ricordi intimi. Se le tematiche sono apprezzabili, la musica che le accompagna
dimostra la professionalità di arrangiatore di Brewster, ma anche una
patina di maniera che caratterizza il suo rock delle radici dallo spiccato
atteggiamento pop. Fra cosiddetti mid tempo e ballate elettro-acustiche,
che riempiono la breve scaletta di The Lonely Pines, è facile indovinare
la trama e le influenze: penso soprattutto alla California di Tom Petty
e quella più mainstream di Eagles e Flettwood Mac, che si incontra con
il country rock di queste stagioni e quella che lo stesso autore definisce
una sorta di West Coast Americana.
Essendo cresciuto tra San Francisco e le Hawaii, al seguito di una famiglia
un po’ hippie per vocazione, non c’è da stupirsi del risultato, con la
partenza frizzante di Let’s Run Away,
dal buon taglio radiofonico, e una più leziosa Kicking and Screaming.
Sonorità rotonde, che potrebbero appartenere ad un prodotto di una major
discografica, bella voce, Jesse Brewster è uno di quegli artigiani della
canzone roots americana che sanno come arrangiare e dare colore a una
canzone, con sfumature che vanno dalle morbide fattezze country rurali
di Bitter Pill all’andatura western di Southern
(l’armonica possiede davvero un forte sapore Eagles) e Woman in My
Mind, dal battito stradaiolo di una ballata elettrica come la citata
Close to Home ai cieli nashvilliani
richiamati in So Much Good Right Here fino alla chiusura folkie
di Amber Kinney, con violino e mandolino incamminati su nostalgici
sentieri irish.
Resta tuttavia la sensazione di un disco fin troppo educato e prevedibile,
pur nella sua inappuntabile competenza, come d’altronde capita sempre
più spesso tra queste proposte che non forzano mai le barriere del genere.
Qui l'impressione è che Jesse Brewster abbia in mente soltanto di portare
a casa una manciata di buone canzoni.