Animatore delle notti musicali di San Antonio, autore,
produttore di se stesso e organizzatore di serate, Garrett T. Capps
è un eccentrico, divertente e realtivamente giovane honky tonker che ha
deciso di raccogliere la fiaccola che fu di Doug Sahm, suo principale
ispiratore, michiando country, rock’n’roll e tex-mex in dosi massicce.
L’operazione emerge forte e chiara dai nove episodi (più una bonus track,
disponibile nell’edizione digitale dell’album) che compongono il nuovo
album I Love San Antone, sorta di ode sperticata alla sua
città di origine, attitudine che già emergeva in una vecchia hit locale
di Capps, Born in San Antone. Il paragone è con l’altrettanto celebrata
Austin, che Garrett non ha mancato di frequentare, come tanti colleghi
in cerca di fortuna, tornando però alla base: I
Like Austin, But I Love San Antone, brano d’apertura, ci delizia
così con i particolari raffronti tra le due metropoli texane, seguendo
il ritmo sbarazzino di un honky tonk elettrico che ha impresso lo stile
del Sir Douglas Quintet di Sahm.
Non a caso in passato Capps ha collaborato con i sodali Augie Meyers e
Max Baca (Los Texmaniacs), entrambi presenti nella citata traccia aggiunta,
una Goodbye San Antonio Hello Amsterdam che pare benedire l’intera
operazione, chiudendo il cerchio. Grazie alla stretta collaborazione dei
suoi Rockabilly Rippers (Brian Duarte alle chitarre, Christopher Lee Rhoades
al basso e Paul Ward alla batteria) e la presenza di numerosi ospiti locali
(Kathyn Legendre duetta in The Neon Luv Waltz; Bad Boy Croy partecipa
alla festa di Everybody I Know; ma soprattutto la leggenda Santiago
Jimenez Jr., fratello di Flaco, spadroneggia nella riedizione della
classica polca Margarita Margarita), Capps cuoce a puntino il suo
piatto speziato di contaminazioni texane, una musica divertente, ballabile,
innamorata di una tradizione che sembra rivivere con il giusto rispetto,
ma senza scadere nell’accademia.
Le qualità di I Love San Antone sono proprio rintracciabili nella
sua spensierata freschezza, in un approccio festaiolo che pensa già alla
resa sul palco di questi brani. Tra gli originali emerge il tono da danza
sul border di Never End, con accordion
irrinunciabile e un profumo country che rimanda al migliore Dwight Yoakam,
ma ancor di più la sbarazzina Downtown, I’m Ready
2 Go, tutta sobbalzi e twang sound direttamente catturati da
un altro maestro del luogo, il Joe Ely degli esordi, così come la svelta
evocazione degli eroi honky tonk in The Highway 16 Shuffle, con
violino e steel guitar a riempire idealmente la pista. Lasciamo volutamente
in fondo la citazione di Locomotive Breath,
impensabile cover in chiave di galoppante country rock del famoso brano
dei Jethro Tull (dal celebrato Aqualung): provocazione o meno,
sappiate che l’idea non è affatto balzana, tanto che Garrett T. Capps
e soci ne escono a modo loro vincitori. Per cui lucidate gli stivali e
indossate il vestito delle festa, questa sera a San Antone sa fi baldoria.