Le voci cristalline mi hanno
sempre catturata. Specie quelle femminili, specie se il cantato è in inglese.
Sebbene le voci profonde e sensuali restino più impresse ad un primissimo
ascolto, sono quelle dolci che mi fanno drizzare le orecchie. Se poi cantano
di vicende quotidiane e di “sentimental journey” scomodando il country
folk più puro, all’interno del macrogenere Americana, il gioco è fatto.
Ecco qui che cerco di incasellare la giovane singer/songrwriter di turno
nelle pagine dell’immenso e sempre vivido canzoniere americano femminile.
Perché è una mia fissazione stare lì a decidere se si accosti di più al
sublime di Joni Mitchell, alla grinta di Bonnie Raitt, al folk soave ed
impegnato della Baez, alla scorza dura e rock di Lucinda Williams. Trovare
collegamenti che mi confermino che il country/folk rock femminile è tutto
un continuum cui attingere è il mio sport preferito di redattrice.
E la giovane Esther Rose da New Orleans, al suo terzo full lenght
con How Many Times (i precedenti This Time Last Night’
nel 2017 e You Made It This Far nel 2019), non si è sottratta
a questo gioco. Un album che arriva al termine di un ciclo di vita caratterizzato
da viaggi ed esperienze di crescita che hanno stimolato il suo songwriting
fino a farle partorire un lavoro più maturo e completo. Un album di un
alternative country delicato e allegro, a tratti più riflessivo e vagamente
cupo, ma sempre intriso di quella grazia che ti fa morire dalla voglia
di imbracciare la tua vecchia chitarra e di provarci anche tu a tradurre
il tuo mondo interiore in musica mentre vaghi per le strade polverose
d’America. Perché ogni donna che ama quella musica, quegli scenari, in
fondo vorrebbe essere al posto di una Esther Rose e incidere il suo disco
che poi una redattrice dall’altra parte del mondo ascolterà e ci scriverà
su specchiandosi in lei.
How Many Times è uno scrigno di dieci canzoni che ti fanno innamorare
o che comunque ti smuovono qualcosa facendoti accennare un sorriso o magari
scendere quella lacrimuccia se ne condividi la sensibilità. Un episodio
malinconico su tutti è Songs Remain,
il suo speculare allegro è Keeps Me Running.
In mezzo altri otto bellissimi brani che non saranno mai i singoli/ hit
radiofoniche che avremo in Italia ma che, promettetemi, ascolterete se
vorrete abbracciare una dimensione diversa della musica, più intima, più
profonda, più scanzonata, più femminile.