Una delle sorprese più chiacchierate del mondo indipendente
dell’Americana sul finire del 2022 è senz’altro questo secondo album di
Adeem the Artist, nome “neutro” (negli articoli della stampa americana
è utilizzata da tempo la declinazione plurale they) dietro cui
si cela l’identità non-binaria (ovvero sia chi non si riconosce in una
distinzione netta di genere maschile-femminile) di Adem Bingham, songwriter
originario della North Carolina e ora residente in Tennessee, che con
una fortunata campagna di raccolta fondi ha potuto dare forma compiuta
alle canzoni di White Trash Revelry, coinvolgendo diversi
talenti in studio di registrazione.
L’album è il seguito di Cast Iron Pansexual, successo locale che
meno di due anni fa aveva svelato l'originale figura di questo musicista
dalla evidente sensibilità sociale, attirato dalla sfida di utilizzare
le regole tradizionali della roots music, del country rock e di quell’Americana
dai profumi southern per trattare temi oggi dirimenti nella comunità,
non solo statunitense, come l’identità sessuale, l’esclusione di razza
ed economica, la memoria collettiva condivisa. Non c’è dubbio che gli
aspetti biografici e i contenuti delle liriche siano il vero dato di “rottura”
di Adeem the Artist: tra questi, la sua crescita in un ambiente conservatore
come quello della Carolina (preso di petto nall’autobiografica
apertura del brano omonimo), le difficoltà famigliari, con il trasferimento
a seguito del padre a Syracuse, New York, quindi la complessa maturazione
per accettare il proprio ruolo nel mondo, prima con una infatuazione religiosa,
poi con il disvelamento della musica e la decisione di fare i conti con
il proprio retaggio “sudista” (Heritage of Arrogance, Painkillers
& Magic e Redneck, Unread Hicks sono tutti episodi che affrontano
di petto queste temiatiche).
Tutto questo ed altro ancora emerge dalle canzoni, tra personale e sociale,
di White Trash Revelry, album che ha ricevuto le attenzioni della
stampa di settore (tra cui la nota No Depression) e ha definitivamente
acceso i riflettori su Adeem the Artist per una innegabile singolarità
(e attualità) nel porsi all’interno di un universo musicale solitamente
accostato a valori più tradizionali. Resta tuttavia da giudicare anche
e soprattutto la qualità della scrittura musicale e l’impatto di canzoni
che sembrano avere una marcia in più quando Adeem the Artist abbraccia
i tempi medi e l’intimità di ballate come la citata Carolina,
For Judas, Baptized in Well Spirits, Middle
of a Heart o il finale acustico di My
America (bel racconto “al contrario”, mettendosi nei panni
di una persona che fa fatica ad accettare il cambiamento del paese in
cui è cresciuto), che potremmo facilmente accostare alla generazione dei
vari Ryan Adams e Jason Isbell.
Questione di suoni, che incrociano al largo la lezione classica dell’alternative
country (per esempio in Books and Records,
altro bel ritratto di chi vive il contrasto fra i propri sogni e le spietate
regole della società dei consumi), ma che spesso cadono anche in qualche
cliché di troppo, scegliendo la spensieratezza e l’ironia honky tonk di
Run this Town, quella rurale e bluegrass di Going to Hell (dove
viene presa di mira l’educazione religiosa e sudista di Adeem) o il respiro
heartland rock della citata Heritage of Arrogance. Insomma, se
la presa di coscienza personale e la qualità dei testi di Adeem the Artist
non sono minimamente in discussione, il dato musicale, niente affatto
secondario, sembra avere ancora ampi margini di sviluppo. Aspettiamo dunque,
in attesa di scoprire un nuovo promettente autore.