Gioca con il passato Melissa Carper e non
ne fa mistero. Credo non si offenderà se la descrivo come una convinta
"tradizionalista", tutta concentrata nel riportare in vita una
sorta di retro sound americano, quello che domina le registrazioni del
suo nuovo album, Ramblin’ Soul. Inciso a Nashville, negli
studi del quotato produttore Andrija Tokic (St. Paul & The Broken Bones,
Hurray For The Riff Raff, Jeremy Ivey e molti altri), e con la collaborazione
di ottimi musicisti quali il bassista Dennis Crouch, il chitarrista (anche
steel guitar) Chris Scruggs e le colleghe Sierra Ferrell e Brennen Leigh
ai cori, il disco è un tuffo vero e proprio nella memoria, quando il country
abbandonava la campagna e cominciava ad elettrificarsi, ma coesisteva
ancora con gli altri suoni urbani dello swing, del jazz, del boogie, creando
una miscela accattivante che ha posto le fondamenta di quella che oggi
chiamiamo Americana.
La Carper, che arriva dal Nebraska, dove ha studiato musica al college,
innamorandosi di Jimmie Rodgers, Leadbelly, Hank Williams, Loretta Lynn
e Billie Holiday, si ritrova oggi ad Austin, Texas dopo avere girato mezzo
paese (New Orleans e New York fra le sue tappe intermedie). Nasce come
contrabbassista nel trio delle Carper Family (fin troppo evidente il richiamo
alla più famosa famiglia del country americano, i Carter), per intraprendere
poi una carriera solista indipendente che soltanto oggi, a più di dieci
anni dai primi passi, sembra raccogliere le giuste attenzioni. Quello
che colpisce al volo è quella voce, dall’amico Chris Scruggs definita
scherzosamente “HillBillie Holiday”, a rendere comunque bene l’idea dell’inflessione
e delle sfumature del cantato, uno stile che emerge dalla stessa prima
traccia, l’omonima Ramblin’ Soul,
una specie di Hank Williams rivisitato in chiave femminile, e si addentra
sempre più, strada facendo, nelle coinvolgenti trame boogie di Zen
Buddha, in quelle romantiche di Ain’t a Day Goes By, ballata
soul sostenuta da cori, organo e pianoforte, per giungere al saltellante
western swing di Texas, Texas, Texas, palese omaggio alla terra
che l’ha adottata in questi anni.
Disco divertente, suonato con gioia e una qualità strumentale impagabile,
Ramblin’ Soul mi ha ricordato un po’ le operazioni messe in atto
da personaggi come Wayne Hancock o Paul Burch, per citare figure maschili
di musicisti che hanno indicato una simile rotta verso il passato della
country music. Melissa Carper è molto convincente nel ruolo e non sarò
io a rompere il suo incantesimo, che pare averla catapultata in un’altra
epoca, senza preoccuparsi minimamente di apparire attuale: a dimostrarlo
ci sono il rock’n’roll primordiale di 1980 Dodge
Van e I Do What I Wanna, i dolcissimi valzer da luna
piena di That’s My Only Regret e I Don’t Need to Cry, il
vispo honky tonk di Boxers on Backwards,
e ancora il blues di Holding All the Cards, spalmato di note swing
dal clarinetto di Rory Hoffman.
Per quale motivo poi la nostra Melissa si dovrebbe adattare alla modernità
non si capisce, vista la bravura nel dominare questi linguaggi. Certo,
potremmo sempre chiederci perché ascoltare una romanticheria come From
What I Recall e non andare invece direttamente alla fonte, Patys Cline
e dintorni, ma l’amore e la dedizione nel rivivere quelle sonorità restano
fuori discussione, come anche la capacità a volte di sorprendere: valga
come esempio la cover di Hit or Miss
di Odetta, che se non altro conferma il buon gusto di Melissa Carper.