“L'intera faccenda è stata un assurdo accidente”.
Potremmo sintetizzare così, con le parole di sorpresa del diretto protagonista,
il caso di A Dry Scary Blue, “esordio” internazionale di
Sean Keel. Certamente un album curioso, più per la genesi che per
i risultati concreti, che proveremo comunque a saggiare nelle righe successive.
La storia comincia all’Università del Texas di Austin, dove Keel è un
professore ormai sulla sessantina: si occupa di ricerca nel campo della
matematica, si dedica naturalmente all’insegnamento, ma ama anche la letteratura
(scrive poesie e racconti) e non ultima la musica.
Nei ritagli di tempo incide con la band di famiglia, Bill the Pony, dischi
di ispirazione folk jazz, così li descrive lui, oltre a una manciata di
ballate più scarne che lascia alla sua opera solista. Quattro album in
tutto che Keel ha messo a disposizione, quasi per scommessa, sulla piattaforma
di Bandcamp: non li ha ascoltati nessuno, afferma con ironia il buon Sean,
ma un giorno un amico lo sprona a mandare le ultime incisioni, più professionali,
anche grazie alle cure produttive di Gabe Rhodes, all’etichetta svedese
della Icons Creating Evil Art, che gestisce un canale Youtube molto seguito
('Discovered by ICEA' series) per debuttanti e sconosciuti. Tutto si tiene
insieme e con fortuna e ostinazione si giunge a A Dry Scary Blue,
un disco di dieci ossute, poetiche e scarmigliate folk songs dal cuore
del Texas che trova anime sensibili ad ascoltarle nella lontana Svezia.
Non una sorpresa, se pensiamo a quanto la terra scandinava in particolare
abbia sempre svelato il loro amore per certa canzone roots americana.
Perché di questo in fondo si tratta, su quella linea ideale che collega
Townes Van Zandt a Sam Baker (per citare un personaggio dalla “fragilità”
musicale molto simile a Keel), passando per qualche decina di altri reietti
e dimenticati in qualche angolo del South West. Le note stampa aggiungono
tra i riferimenti artistici anche Tom Waits e Neil Young, ma sarebbe il
caso di andarci veramente cauti, perché la voce strozzata, in alcuni passaggi
quasi afona, di Sean Keel può giusto evocarne alcune suggestioni, ma resta
spesso quello che è, ovvero sia un grosso, insormontabile svantaggio per
far decollare queste ballate. La cifra letteraria di Corn Palace,
Hill of Three Oaks, Cool Old Man, fino alla rivelazione
di I Hate The West (Why does everything
wrong taste like honey/ Why do people sound so much like sand) non è mai
in discussione, racconti e visioni che scavano nella vita e nel paesaggio,
umano e geografico, dell stesso Keel, dal suo nativo Minnesota alle colline
del Texas dove si è trasferito.
Sono versi dal taglio narrativo che spesso trafiggono, ai quali il citato
Gabe Rhodes (al lavoro con moltissimi songwriter texani) aggiunge
pochissime e strettamente necessarie note di colore, un pianoforte, una
pedal steel, una seconda chitarra acustica, qualche tappeto sonoro che
costruisca uno scheletro di base al mormorio di Sean Keel, ma senza mai
snaturare la sostanza trasparente, indifesa di queste canzoni, che appaiono
spesso più come fantasmi (la fioca The Flower, Blessed Assurance,
His Mouth So Red) che non veri e propri elaborati di songwriting,
come saremmo abituati ad aspettarci da chi si pone nel solco di una precisa
tradizione. E forse prorpio qui sta il problema più grande di A
Dry Scary Blue, una raccolta che dovrebbe suscitare una certa
complicità con il mondo country folk texano da cui nasce, ma a cui manca
quel bricolo di musicalità di base per mettersi quanto meno nella scia
delle sue ispirazioni.