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Sean Keel
A Dry Scary Blue
[Icons Creating Evil Art 2022]

Sulla rete: seankeel.bandcamp.com

File Under: sussurri folk


di Fabio Cerbone (05/01/2023)

“L'intera faccenda è stata un assurdo accidente”. Potremmo sintetizzare così, con le parole di sorpresa del diretto protagonista, il caso di A Dry Scary Blue, “esordio” internazionale di Sean Keel. Certamente un album curioso, più per la genesi che per i risultati concreti, che proveremo comunque a saggiare nelle righe successive. La storia comincia all’Università del Texas di Austin, dove Keel è un professore ormai sulla sessantina: si occupa di ricerca nel campo della matematica, si dedica naturalmente all’insegnamento, ma ama anche la letteratura (scrive poesie e racconti) e non ultima la musica.

Nei ritagli di tempo incide con la band di famiglia, Bill the Pony, dischi di ispirazione folk jazz, così li descrive lui, oltre a una manciata di ballate più scarne che lascia alla sua opera solista. Quattro album in tutto che Keel ha messo a disposizione, quasi per scommessa, sulla piattaforma di Bandcamp: non li ha ascoltati nessuno, afferma con ironia il buon Sean, ma un giorno un amico lo sprona a mandare le ultime incisioni, più professionali, anche grazie alle cure produttive di Gabe Rhodes, all’etichetta svedese della Icons Creating Evil Art, che gestisce un canale Youtube molto seguito ('Discovered by ICEA' series) per debuttanti e sconosciuti. Tutto si tiene insieme e con fortuna e ostinazione si giunge a A Dry Scary Blue, un disco di dieci ossute, poetiche e scarmigliate folk songs dal cuore del Texas che trova anime sensibili ad ascoltarle nella lontana Svezia. Non una sorpresa, se pensiamo a quanto la terra scandinava in particolare abbia sempre svelato il loro amore per certa canzone roots americana.

Perché di questo in fondo si tratta, su quella linea ideale che collega Townes Van Zandt a Sam Baker (per citare un personaggio dalla “fragilità” musicale molto simile a Keel), passando per qualche decina di altri reietti e dimenticati in qualche angolo del South West. Le note stampa aggiungono tra i riferimenti artistici anche Tom Waits e Neil Young, ma sarebbe il caso di andarci veramente cauti, perché la voce strozzata, in alcuni passaggi quasi afona, di Sean Keel può giusto evocarne alcune suggestioni, ma resta spesso quello che è, ovvero sia un grosso, insormontabile svantaggio per far decollare queste ballate. La cifra letteraria di Corn Palace, Hill of Three Oaks, Cool Old Man, fino alla rivelazione di I Hate The West (Why does everything wrong taste like honey/ Why do people sound so much like sand) non è mai in discussione, racconti e visioni che scavano nella vita e nel paesaggio, umano e geografico, dell stesso Keel, dal suo nativo Minnesota alle colline del Texas dove si è trasferito.

Sono versi dal taglio narrativo che spesso trafiggono, ai quali il citato Gabe Rhodes (al lavoro con moltissimi songwriter texani) aggiunge pochissime e strettamente necessarie note di colore, un pianoforte, una pedal steel, una seconda chitarra acustica, qualche tappeto sonoro che costruisca uno scheletro di base al mormorio di Sean Keel, ma senza mai snaturare la sostanza trasparente, indifesa di queste canzoni, che appaiono spesso più come fantasmi (la fioca The Flower, Blessed Assurance, His Mouth So Red) che non veri e propri elaborati di songwriting, come saremmo abituati ad aspettarci da chi si pone nel solco di una precisa tradizione. E forse prorpio qui sta il problema più grande di A Dry Scary Blue, una raccolta che dovrebbe suscitare una certa complicità con il mondo country folk texano da cui nasce, ma a cui manca quel bricolo di musicalità di base per mettersi quanto meno nella scia delle sue ispirazioni.


    


<Credits>