La linea dell’orizzonte che si percepisce in lontananza
tra la brughiera scozzese non è certo la stessa che si può scrutare nelle
terre aride dell’Arizona o del New Mexico, ciononostante Dean Owens,
nativo di Leith in Scozia, si lascia affascinare dall’immaginario del
confine tra Stati Uniti e Messico e dalle influenze musicali che ne conseguono.
Ma non è un mero e semplice disco di “desert session” questo Sinner’s
Shrine: sicuramente ci sono influenze di Calexico e Grant Lee
Buffalo (che in vario modo hanno contribuito a questo lavoro), ma vengono
miscelate alla tradizione folk e delle ballate popolari di stampo scozzese.
Il disco, ottavo in carriera, è un punto di arrivo nella carriera di Owens,
non solo per la forte influenza di una certa musica americana e ispanica
di confine, ma anche per la presenza di membri dei Calexico, di
Grant-Lee Phillips e del musicista guatemalteco Gaby Moreno. Dopo
una serie di EP nel 2021, chiamati The Desert Trilogy, Sinner’s
Shrine, registrato a Tucson, continua il percorso intrapreso e la
forte infatuazione con lo scenario desertico che diventa una parte integrante
e fondamentale del suo songwriting. Per l’uscita ufficiale verrà pubblicato
congiuntamente da Eel Pie Records e da Continental Record Services (per
il mercato europeo). Undici brani in tutto, in cui Joey Burns presta chitarra
e voce e John Convertino batteria e percussioni. La partenza con Arizona
vuole impostare il mood del disco sin da subito: atmosfere sospese, aria
di viaggio e lunghi orizzonti mentre trombe mariachi ne contornano i profili.
The Hopeless Ghosts, più desertica, con lap steel e chitarre riverberate,
è la giusta continuazione della precedente.
Ovviamente le sabbie che dividono States da una parte e Messico dall’altra
(ben descritti da Cormac McCarthy) sono le ispiratrici di New
Mexico, di pura matrice Calexico, con fisarmonica che ci ricorda
anche in qualche modo i Los Lobos e il loro sapiente mischiare generi
e latitudini. Più mesta, Companera, che si muove al passo lento
e strascicato di rumba. In La Lomita, i ritmi latini sono sempre
in forte risalto (ma niente che non abbia già fatto Tom Waits e una discreta
schiera di imitatori dopo di lui), così come in Land Of The Hummingbird
(e qui potremmo citare il Carlos Santana dei tempi più recenti). La
chiusura con After The Rain è però
tutta in ambito folk inglese, con aria dimessa e toni malinconici, come
per ricordarci che alla fine, there’s no place like home.
Sicuramente Dean Owens è un troubador moderno, un poeta itinerante che
ci fa vedere come la distanza tra Scozia e Messico non è poi così incolmabile
come sembra e che, alla fine, una storia, se è buona e ben narrata, regge
sia fra gli sferzanti gelidi venti del Mare del Nord, sia tra le torride
folate cariche di sabbia del Santa Ana nel Mojave californiano.