Sono convinto che se dovessimo fare un serio elenco
di tutti i musicisti in attività in Texas, non basterebbe un intero quaderno:
ci sarebbe una fitta rete di nomi a riempire tutte le pagine e ne rimarrebbe
sicuramente qualcuno escluso. È un po’ il fascino del grande stato americano,
per altri versi un luogo assai meno “ospitale”, ma senz’altro una terra
generosa per chi vuole fare musica e ispirarsi alla tradizione. Tra le
nuove voci femminili della scena locale possiamo adesso aggiungere quella
di Courtney Hale-Revia, autrice di Beaumont che firma il suo terzo
album solista, Growing Pains, mettendo insieme una dozzina
di musicisti e ben quattro produttori, gli stessi che hanno curato le
incisioni in diversi studi sparpagliati fra la stessa Beaumont, Houston
e Port Neches.
La qualità del disco non ne risente e tutto scorre come da copione, dodici
tracce che mescolano honky tonk, folk, rock, più in generale potremmo
dire un’Americana dal gusto country&western che connota la provenienza
geografica di Courtney Hale-Revia, ragazza cresciuta in una cittadina
lontana dai centri nevralgici della scena musicale texana (Austin, soprattutto)
e che si è dovuta inventare letteralmente una carriera. La biografia ci
racconta infatti di un lavoro parallelo di insegnante, oltre ad occuparsi
della famiglia, e poi l’idea di trasformare i suoi house concert casalinghi
in una vera e propria attività, ospitando così al ribattezzato '7 Oaks
Event Garden' diversi concerti di colleghi e amici. Growing Pains segue
il debutto del 2015 con Simple Things e il successivo Tattered
del 2018, partendo proprio dalla composizione della title track, brano
ispirato dalla scomparsa del padre James T Hale per conseguenze dovute
al covid.
Anch’egli musicista e songwriter, sembra idealmente avere passato il testimone
alla figlia, la quale dedica espressamente un ricordo al genitore nella
scelta dell’episodio finale del disco, Bloom Where You Are, canzone
scritta dal papà e registrata dal vivo da Courtney insieme alla band presso
il citato 7 Oaks. Nel mezzo scorrono una serie di canzoni dall'impostazione
autobiografica, che si fanno aprezzare sia per il suono roots cristallino,
tra acustico ed elettrico (One Way Out, la drammatica Lochness,
Rainbow at Night) sia per certe impennate country rock (Lavender
Cowgirl, Who Are You, Coffee
Beans, quest’ultima trascinata da mandolino e violino, come
prevede il decalogo del genere) e dai tramonti western (Cutting Lines,
Blood and Water, con la chitarra del bravo Cody Eldirdge sotto
i riflettori), mettendola sulle tracce di “madrine” come Eliza Gilkyson
o Mary Gauthier.
Certo, il livello di scrittura non è lo stesso e non potrebbe esserlo
per tanti motivi, ma Growing Pains sembra possedere il tocco della
buona Texas music fatta in casa.