A giudicare dai musicisti che si sono mossi per
la confezione di questo Long Overdue, secondo album solista di
Steve Yanek, direi che il nome di questo autore, sostanzialmente
sconosciuto ai non addetti ai lavori, meriterebbe quanto meno un approfondimento.
Converrete anche voi che avere in squadra le chitarre (e la regia musicale)
di Jeff Pevar (David Croby, CPR e molti altri nel suo lungo elenco di
collaborazioni), la batteria di Kenny Aronoff (John Mellencamp band) e
il piano di Bill Payne (Little Feat) non sia esattamente un lusso che
tutti si possono permettere. Quali santi in paradiso abbia scomodato Steve
Yanek non lo sappiamo, ma la sua amicizia con Pevar ha smosso turnisti
di valore, ai quali andrebbero aggiunti anche l’altro batterista Rod Morgenstein
(Dixie Dregs) e il tastierista T Lavitz, scomparso anni fa e del quale
Yanek recupera diversi interventi, a conferma che il materiale di Long
Overdue arriva dopo un lungo percorso di gestazione, d’altronde
evocato dal titolo stesso.
Yanek, infatti, può vantare un esordio datato 2005, che nonostante le
buone promesse e gli altrettanto notevoli sforzi di promozione non ebbe
il successo sperato. Da allora il nostro protagonista si è fatto un po’
da parte, dedicandosi alla propria carriera di imprenditore e riprendendo
i fili della sua passione musicale soltanto in anni più recenti, ripubblicando
il suo album di debutto e mettendo insieme le canzoni di Long Overdue
durante il tempo sospeso della pandemia. Ha lavorato a distanza con Jeff
Pevar e gli altri musicisti in quattro differenti studi di registrazione,
dalla sua Pennsylvania all’Oregon per approdare in California. E proprio
al suono rock levigato di certa West Coast si rifanno molte di queste
canzoni, dalla scrittura introspettiva e autobiografica (You Move Me
è dedicata all’amico T Lavitz; All the Sorrow alle difficoltà del
matrimonio) e dal suono in parte elettrico e dal facile approccio melodico.
Si distinguono nettamente le chitarre di Pevar, che danno respiro a un
pop rock stradaiolo nell’apertura della title track, seguita dai toni
più morbidi della ballata Like Now, mentre l’arrivo di Aronoff
dietro la batteria per Tired of This Attitude
annuncia un’accelerazione verso l’heartland rock, ma sempre attento alla
melodia (All the Sorrow). In generale le stelle polari dell’ispirazione
di Yanek restano Jackson Browne (fortissima la sua ombra in Everyone’s
Crazy These Days), James Taylor nei passaggi più acustici e
agrodolci (About This Time, il finale di Goodbye), senza
disdegnare un sound toccato da tentazioni pop radiofoniche (il falsetto
di On Your Side) e un rock dalle tonalità soul appassionate
(Throw Me Down a Line). Si potrebbe
facilmente accusare un disco come Long Overdue di restare aggrappato
a un’idea di canzone rock d’autore un po’ sorpassata, specialmente nei
suoni, che sembrano uscire da stagioni lontane, replicando le gesta di
una California che tutti prima o poi abbiamo incrociato nel nostro percorso
di ascoltatori: al netto però di una innegabile nostalgia sonora, Steve
Yanek dimostra comunque qualità di scrittura (e anche vocali) che giustificano
gli sforzi produttivi e i nomi coinvolti nelle registrazioni.