Sweet Anhedonia è il quinto album solista
del cantautore Ben De La Cour, nato a Londra e cresciuto a Brooklyn.
Credo che una breve digressione sulle note biografiche contribuisca a
comprendere meglio il personaggio, ma anche il senso di questo disco,
dato il percorso piuttosto atipico (ma forse neanche troppo) del suo autore.
Dopo aver lasciato casa a diciassette anni, Ben ha fatto molti lavori
(anche il pugile all’Avana!) ed è rimasto parecchi anni “on the road”
con diverse band metal. Tra queste i Dead Man's Root, messi in piedi in
duo con il fratello Alex, con all’attivo nel 2007 un album doom metal
che credo però non abbia lasciato il segno, per usare un eufemismo. Nel
2013 si è infine accasato a Nashville, andando a infoltire la fertile
scena musicale di quella città, che negli ultimi anni è diventata la meta
d’elezione per tutta una generazione di autori e musicisti folk, country
e rock.
A partire da lì, Ben De La Cour ha dato una svolta solista alla propria
carriera, pubblicando, prima di quest’ultimo, quattro album di orientamento
roots folk, ma con uno spirito molto dark nei testi e nelle musiche. Anche
in questo quinto lavoro, Sweet Anhedonia, l’atmosfera generale
è caratterizzata da toni scuri e malinconici, ritmi lenti e suggestivi
che richiamano Nick Cave (per la “darkness” d’insieme) e Townes Van Zandt
(negli arrangiamenti e nella strumentazione tipicamente country). I testi
sono largamente autobiografici, quanto meno nell’ispirazione, prendendo
spunto dai travagli quotidiani e dalle dipendenze che hanno attraversato
l’esistenza dell’autore.
A un ascolto superficiale, gli arrangiamenti della maggior parte dei brani
possono sembrare un po’ ripetitivi, ma alzando la soglia di attenzione
(cosa che al giorno d’oggi sta diventando sempre più difficile) ci si
rende conto che sono i dettagli a fare la differenza. Per esempio in Maricopa
County, brano lirico ed intimista, fanno capolino una tromba
ed un violino, oltre ad una voce femminile. Anche nell’orchestrale e cinematico
Shine On The Highway (titolo quanto
mai evocativo) la tromba contribuisce in modo determinante al suggestivo
soundscape del brano, così come anche in Palookaville,
in aggiunta al pianoforte. Meritevole di segnalazione anche Birdcage
in cui la voce di Ben e il mood del brano, condotto da una battuta lenta
e possente, con banjo e armonica in evidenza, sono molto chiaramente ispirati
da Tom Waits. L’unico brano di matrice più rock nella strumentazione e
nel ritmo è Suicide Of Town, che mi ha fatto pensare a certi lavori
di Steve Earle.
La registrazione dell’album ha visto la partecipazione di numerosi musicisti
di stanza a Nashville, il più conosciuto dei quali è senz’altro Jim White,
veterano della scena country-rock e che ha già all’attivo numerosi dischi
(alcuni dei quali pubblicati da etichette di primo piano quali Luaka Bop
e Yep Roc). Nel complesso si tratta di un lavoro importante e ben costruito
in tutti i dettagli. Il songwriting è maturo e l'interpretazione trasuda
la lunga gavetta e le esperienze (di tutti i tipi) maturate nel corso
della vita da Ben De La Cour, che coraggiosamente esplora il lato più
oscuro della scena folk attuale.