Questo per Jared Dustin Griffin è al tempo
stesso il debutto solista dopo anni di gavetta da frontman di svariate
band e una rinascita personale ed artistica dopo una lunga lotta contro
problemi di salute mentale e dipendenze. Un disco che mette in luce una
personalità tormentata ma in grado di esprimere una poesia lucida ed intensa,
che passa attraverso una canzone d’autore roots in bilico tra folk, country
e cenni ‘southern’ come nella solida Bleed You Away, dalle tonalità
gospel.
Voce inevitabilmente sofferta e roca che mi ha subito rimandato alle prime
cose di Ryan Bingham e che a certa critica d’oltreoceano ha ricordato
addirittura Captain Beefheart e Chuck E. Weiss in un contesto sonoro comunque
diverso, Jared Dustin Griffin da Portland, Oregon ha intagliato queste
dieci canzoni nel puro legno del suo Stato natale, mostrando qualità limpide
sottolineate da una produzione giustamente essenziale, a cura di Brian
Brinkerhoff e del bassista Frank Swart.
Battle Cry Mercy parla di solitudini, di ansie, del non avere
un tetto sotto il quale vivere, delle sofferenze portate dall’uso di sostanze
più o meno legali, ma anche di redenzione, di speranza e della lotta per
la sopravvivenza, canzoni dall’afflato autentico e sincero messo subito
in campo con l’iniziale, splendida e significativa, My
Name Is Cannonball. La ricetta è quella di molti nomi citati
negli anni qui su Roots Highway, quella di un cantautorato legato a filo
doppio alle radici del suono americano tra folk, country e americana;
la differenza è tutta nella qualità di una scrittura ispirata e profonda
e nella capacità di esprimere gli stati d’animo in maniera autorevole
e vera.
E qui c’è la bellezza di brani come Sweet Ol’
Loneliness imbevuta di umori country, della breve e gustosa
Little Arrows dal taglio tradizionale, la ruvida e struggente
Hold My Troubles con un’armonica che penetra nell’anima, la suadente
Black & Gold attraversata da un’ispirata fisarmonica e dall’organo
hammond di Stefano Intelisano e dell’orgogliosa e più ‘rockeggiante’ Bottle
On The Stove. Quanto basta per celebrare un nome da tenere d’occhio
se avete un debole per gli storytellers credibili e spontanei.