Trentenne originaria di Newton, Massachusetts, durante
un viaggio da costa a costa, in direzione Los Angeles per inseguire il
suo sogno musicale, Alice Howe fa tappa a Muscle Shoals, Alabama
e lì scatta qualcosa. Che sia costruito o meno, questo accenno biografico,
forse per dare più enfasi a certe scelte stilistiche, la sostanza di Circumstance,
secondo album sulla distanza dell’autrice, conferma l’innamoramento per
quel luogo speciale nella storia della musica americana, incontro di radici
bianche e nere, di leggende southern soul e icone rock. Inciso proprio
fra le mura storiche dello studio di registrazione che ospitò Aretha Franklin,
Wilson Pickett, Duane Allman, Rolling Stones, Lynyrd Skynyrd e decine
di altri, il disco di Alice prova a nutrirsi di un mito, captandone l’energia
e addomesticandola però con il linguaggio più consono alla musicista,
la cui voce melodiosa è il tratto caratterizzante di una serie di ballate,
tempi medi, rock da strada maestra e dolci inflessioni soul che vanno
a formare la scaletta dell’album.
Un attento lavoro di produzione in collaborazione con il bassista Freebo
(trascorsi nella band di Bonnie Raitt e un lungo curriculum di session
man fin dalla metà degli anni Settanta), firmando anche diversi
brani insieme, un songwriting che si divide fra confessioni d’amore, rotture
sentimentali e accenni personali, il tutto rende Circumstance un
lavoro professionale dove effluvi Americana dalle rotondità pop rock (l’uno
due in apertura con You’ve Been Away So Long e Somebody’s New
Lover Now, e ancora Love Has No Rules
o il battito stradaiolo di What About You) si alternano a spunti
di matrice folk blues e soul (Something Calls to Me, l’accesa With
You By My Side, la più “sudista” del lotto insieme a Travelin’
Soul), sempre pensati per esaltare l’interpretazione cristallina di
Alice Howe.
I suoi esordi acustici e in ambito più folkie (in quella direzione si
muoveva l’esordio del 2019, Visions) rendono bene l’idea di una
musicista che non cerca invano di imitare il gesto sanguigno che deriva
dalla leggenda stessa di Muscle Shoals, semmai ne offre una propria versione,
più levigata e trattenuta (Things I’m Not Saying, It’s How You
Hold Me), con elementi che evocano la California di Jackson Browne
o della citata Bonnie Raitt, magari quella nei panni più mainstream. Con
due chitarre sempre pronte a dialogare (Jeff Felder e Will McFarlane),
qualche effusione dell’organo Hammond di Clayton Ivey, due coriste e una
manciata di fiati all’occorrenza, Circumstance mette ogni dettaglio
al posto giusto, anche con il rischio di apparire spesso troppo dabbene
e morigerato nelle scelte sonore, ma che qui ci siano ambizioni per fare
breccia fra il gusto Americana più radiofonico non è un mistero e l’obiettivo
pare raggiunto a pieni voti.