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Chris Pierce
Let All Who Will
[Friends at Work 2023]

Sulla rete: chrispierce.com

File Under: folksinger & soulman


di Remo Ricaldone (09/10/2023)

A due anni di distanza da American Silence, disco acustico che ha ottenuto ottime recensioni portandolo ad incarnare pienamente la figura di folksinger ‘di protesta’, il californiano Chris Pierce cambia rotta, almeno dal punto di vista musicale, con un lavoro che abbraccia suoni decisamente più soul, concedendosi comunque più di una ‘divagazione’. Inciso negli storici Sunset Sound Studios di Los Angeles sotto la produzione di Niko Bolas (già alla consolle per Neil Young, Warren Zevon, Melissa Etheridge e i Mavericks tra gli altri) e Dave Resnik (Mavis Staples è tra coloro con cui ha lavorato), Let All Who Will è un album lungo ed articolato attraverso ben quindici brani che denotano tutta la profonda umanità ed empatia di Chris Pierce, la sua voce ricca di feeling e notevoli capacità compositive, capaci di condensare temi universali come quelli legati ai diritti civili e narrazioni più intime e personali.

Un messaggio il suo non annacquato da canzoni apparentemente più modulate e ‘morbide’, ma che riesce a penetrare maggiormente grazie a liriche che sottolineano il bisogno di giustizia e di immedesimazione per comprendere quanto ci sia di importante nelle lotte sociali di coloro che sono emarginati per colore della pelle, religione e orientamenti sessuali. Nulla di particolarmente nuovo dal punto di vista stilistico, ma ineccepibile per forza espressiva, convinzione e grinta che emergono nitide in molti momenti dell’album come per esempio nell’introduttiva Batten Down The Hatchet, ballata folk-rock guidata da un ottimo violoncello. Ci si può accostare in più di un momento al lavoro che sta facendo, sulla stessa falsariga, un altro bel nome che unisce folk, soul e blues come Eric Bibb e in canzoni come Mr. McMartin e We Can Always Come Back To This in particolare si respira la stessa atmosfera.

Meet Me At The Bottom
rimanda ad un’altra voce che probabilmente ha ispirato il nostro come Arthur Alexander, 45 Jukebox è decisamente pregna di umori ‘swamp’ con chitarra slide (Doug Pettibone, dalla band di Lucinda Williams) e armonica che impreziosiscono uno dei momenti a mio parere più incisivi, mentre in Tulsa Town si uniscono con sagacia folk e soul. A rendere ulteriormente varia la proposta ci sono poi le attenzioni jazzy della pianistica Sidney Poitier, la sorprendente cover di Drive, vecchio hit dei Cars di Ric Ocasek, la riuscita rilettura della title-track del precedente American Silence qui arrangiata con misura ed efficacia e la mossa Home con un andamento frizzante e azzeccato.

Un album questo che ben definisce i contorni di un artista poliedrico e genuinamente autentico.


    


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