Bisogna essere sicuramente guidati dall’amore, se
non proprio da una pura passione, per fare la vita di Mike Spine,
americano di Seattle ma uno di quelli per cui l’espressione “cittadino
del mondo” assume un significato quasi letterale. Personaggio che vive
ai margini di tutto fin dagli anni Novanta, uscito dalla scuola di cantautori
nati in “era grunge” alla Peter Droge o Terry Lee Hale, e da allora uomo
ovunque, compresa la nostra Italia dove alloggia spesso. Guided
By Love è il suo undicesimo album, e nonostante si respiri l’aria
da puro prodotto indipendente, sfoggia fin dalla paternità del disco una
vera schiera di “Underground All-Stars” di questi ultimi 30 anni. L’elenco
è doveroso perché rappresenta in qualche modo anche un perfetto manuale
degli stili che passano in questi undici brani, ma volendo bastava notare
un titolo come Pancho & Lefty, Part II, parata di miti del mondo
country degli anni Settanta e titolo quanto mai esplicativo su chi si
omaggia per primo, per capire che aria tira.
Con Spine suonano una serie di nomi non altisonanti ma ovunque presenti
nel mondo indipendente americano, come la violoncellista Lori Goldston
(la ricorderete nella sezione d’archi del mitico Unplugged dei
Nirvana, oltre che con Cat Power e David Byrne), i chitarristi Johnny
Sangster (sentito con il trio KD Lang, Neko Case, Laura Veirs), Jeff Fielder
della Mark Lanegan Band e il veterano della pedal steel Paul Brainard
(nei Richmond Fonatine e anche autore di una colonna sonora a due mani
con Willy Vlautin, ma session man usato da parecchi grandi nomi dell’indie
rock come Eels, M. Ward, Decemberists, e tanti altri) per citarvi i più
importanti. Ma tra tanti altri amici, soprattutto della scena musicale
di Portland e Seattle, spiccano anche gli italiani Massimo Catalano, musicista
di baglama, strumento tipico della Basilicata, e la violinista e pianista
Barbara Luna, che da tempo ormai lo segue e lo promuove in tutta Europa.
Al centro però c’è lui, un autore dalla penna delicata che sa trasformare
al meglio i propri appunti di viaggio come forse solo il Bruce Cockburn
dei tempi d’oro sapeva fare. Never Sell Your
Soul e Tangier
per esempio parlano di viaggi, di rinunce e di fieri rifiuti dei compromessi
che un vagabondo della musica come lui deve ancora affrontare, ma c’è
anche tempo per soffermarsi sui particolari, che siano il sorriso di un
bambino di Smile On come antidoto
alle brutture della vita, o su temi più universali come la guerra (Haunt
On, Tears Of Mexico). Ma tutto ruota intorno alla riflessione
sul ruolo di un artista nel mondo odierno, destinato a solitudine (Bloodless
Eyes) e all’essere sfruttati e poco riconosciuti nel proprio lavoro
(Some Shows, Good And Gone). La tentazione è quella di fuggire
da tutto come l’uomo di No Man’s Land (che narra una vicenda “alla
Into Wild”), ma il finale di Butterfly
riconcilia il tutto con una lettera dalla Thailandia sull’importanza di
vivere intensamente ogni attimo della nostra esistenza. Se lo incontrate
sulla vostra strada non perdetevelo.