Sunken Lands (le terre sommerse) è il nome
dell’esordiente gruppo olandese che suona con le sue corde il roots rock
americano più classico, in un inglese pulito e privo di accenti (come
del resto è consuetudine da quelle parti d’Europa). Nome più che adatto,
visto il luogo di provenienza della formazione: una regione che, guardando
al futuro e pensando alle conseguenze del cambiamento climatico, rischia
di venire seriamente sommersa dalle acque del mare del Nord.
Comunque, nome a parte, i Sunken Lands, in questo lavoro omonimo, si attengono
totalmente alla musica americana più tradizionale, anche nella
strumentazione (c’è, per esempio, la classicissima pedal steel, suonata
da Marcel Gerritsen), e nell’immaginario evocato attraverso i testi, quasi
tutti scritti dal batterista Jaap Vissering. Infatti, dando uno sguardo
a questi ultimi, tematiche come angeli, demoni, l’alcool distruggi-vite
(The Damage is Done), lunghe strade solitarie, percorse alla luce
del sole o in notturna When the Nights Are Short), il racconto
di vite umane vagabonde nello spazio e nel tempo – “I’ve been on many
crossroads in my life, not sure about the choices that I made […] but
I have no regrets, ‘cause I can’t turn back time, take things as They
come” (da Crossroads) - costituiscono l’ossatura immaginativa dell’intero
disco.
I momenti migliori dell’album, a mio parere, sono l’acustica e nostalgica
Not a Cloud in the Sky, che rievoca
un passato felice, l’infanzia – “I only remember sunny days, and I never
lacked anything” -, e il duetto I’m Leavin’ (I just don’t know when),
scritto, questa volta, dal cantante Edwin Jongedijk e dal chitarrista
Rowdy Prins, dove i due amanti, interpretati rispettivamente da una voce
maschile e da una femminile, si promettono, sembrerebbe vanamente, di
lasciarsi. Mettendo pure tra parentesi i brani preferiti dal sottoscritto,
l'omonimo Sunken Lands è un album piacevole, che si ascolta
senza correre il pericolo di annoiarsi, perché i brani sono diversi tra
loro, una buona mescolanza tra episodi più rockettari, come We
Take It for Granted, e momenti più acustici, ma uniti dalla
buona alchimia che guida i cinque membri del gruppo.
I contenuti di Sunken Lands sono semplici, non c’è niente di nuovo,
non c’è nessun elemento distintivo particolare o originale, neanche dal
punto di vista musicale, eppure resta un buon album, se preso proprio
nella sua naturalezza, che merita un’opportunità. Consigliato.