Irlandese di Cork, Bob Bradshaw si è fatto
le ossa sulle strade d’Europa come ‘busker’ prima di approdare negli Stati
Uniti, dove ha trovato stimoli e casa prima a San Francisco e poi tra
New York e Boston (notoriamente la città più irlandese d’America) inserendosi
bene in quei circuiti ‘indie’ dove il rock si mischia naturalmente con
le radici country. La sua passione per nomi come John Hiatt e Guy Clark
ha fatto sì che il suo stile maturasse e si personalizzasse negli
anni mantenendo vive però altre influenze (sfumate naturalmente con i
suoni americani) di personaggi ai quali in molti momenti può avvicinarsi,
come il conterraneo Paul Brady nei suoi dischi più elettrici, il Bruce
Cockburn degli anni Ottanta, Richard Thompson nei brani più asciutti e
secchi e Nick Lowe quando emergono melodie di stampo più pop.
Il titolo Live In Boston può essere un po’ fuorviante visto
che le registrazioni sono dal vivo ma in studio e precisamente ai Q Division
Studios in Massachussetts, dove Bob Bradshaw nel giugno del 2024 ha riletto
parte del suo repertorio, dandone una lettura più vicina al suono che
porta sui palchi americani, immediata, spontanea e per certi versi più
nuova. Un’urgenza che risulta nel complesso vincente, colorando di tonalità
nuove brani che già in originale risultavano apprezzabili, celebrando
uno stile che ha visto rafforzarsi l’aspetto letterario denso di profondità
introspettiva e anche di humor, stile presentato con sagacia nei precedenti
dieci album che l’hanno portato a godere di buona considerazione in ambito
‘americana’. I suoni sono qui decisamente indovinati con la presenza di
una coppia di chitarristi di rango come Andrew Stern e soprattutto Andy
Santospago che aggiunge un tocco country con inserimenti di pedal steel
e lap steel, sorretti da una robusta sezione ritmica formata dai tamburi
di Mike Connors e dal basso di John Sheeran, con le tastiere di James
Rohr che spesso lavorano ‘nelle retrovie’ ma contribuiscono alla riuscita
di arrangiamenti a volte complessi, ma sempre incisivi e efficaci.
Non mancano i momenti più acustici guidati da una vena folk che nelle
mani del nostro si rafforza con gusto e piacevolezza, come nella scorrevole
Every Little Thing che mano a mano
assume contorni più rock, in Material For The Blues, dove il piano
trova maggior spazio, e in The Assumptions We
Make, mentre ci si avvicina alla country music nella cadenzata
Albuquerque e si apre a un rock dalle tonalità vibranti nell’iniziale
Talkin’ About My Love For You, che
nel refrain assume lievi ritmiche reggae, nella spedita Hot In The
Kitchen e in High Horse, con The Art Of Feeling Blue
(title track del precedente disco del 2023) e High On Our Own Supply
che ancora una volta definiscono e sottolineano le doti compositive ed
interpretative del musicista irlandese trapiantato in America.