File Under:
country gospel di
Davide Albini (20/06/2013)
So che potrà apparire un po' presuntuoso, ma effettivamente questo Glory
Bound è il disco che Emmylou Harris e Rodney Crowell non sono riusciti
a tirare fuori dalla loro recente collaborazione. Non che in partenza gli emeriti
sconosciuti (o quasi) siano sempre più interessanti e capaci dei soliti noti,
tanto per partito preso o perché scoprire qualche gemma nascosta renda più apprezzabile
il nostro lavoro, ma nel caso di Tom Kell e Emiko Woods c'è una
semplicità di fondo e una bellezza cristallina nella loro intepretazione del genere
Americana, che si crea immediatamente una sorta di empatia con il linguaggio musicale
di Glory Bound. Nello specifico si tratta di un breve disco di ballate dall'anima
country e dall'ispirazione gospel, che il duo ha registrato con l'appoggio della
"First Baptist Church" di Lakewood, luogo in cui si sono esibiti per
più di un anno agli incontri dei fedeli, prendendo quindi la decisione di incidere
dieci brani originali (e una cover del traditional I'll
Fly Away).
Kell è una vecchia volpe del giro West Coast, già
collaboratore di JD Souther, Timothy B Schmit, Karla Bonoff e molti altri, il
cui ritorno discografico, This
Desert City, ci era passato per le mani nella primavera del 2012. Emiko
Woods invece è una perfetta sconosciuta, con una limpida vocalità che si ispira
alle regine del country rock (e quindi Emmylou rientra dalla finestra…) e sostiene
con professionalità Tom Kell lungo undici duetti che evocano speranza, fede, gioia
condivisa, chiamando in causa old time music, gospel, folk e country rurale. Se
poi a dare manforte in studio ci sono musicisti di qualità, alcuni ben noti alle
cronache rock come Bob Glaub (Jackson Browne, John Fogerty), altri meno, come
il bravo polistrumentista TJ Hill (Future of Forestry) è impossibile fallire l'obiettivo.
Ecco perché già dalla dolcissima accoppiata iniziale, Too
High e This Time, possiamo cogliere
le sfumature di questo disco, un concentrato delle più semplici vibrazioni che
oggi chiamiamo Americana.
Le motivazioni religiose del progetto sono più
che evidenti, ma anche al di fuori della personale visione fideistica, credo si
possa apprezzare la familiarità delle melodie, lo stile tradizionale eppure mai
troppo "museale" del duo. Fresche e coinvolgenti le armonie di Glory
Bound, country blues elettrico, e dell'accoppiata Down to the River
e Someday Soon, passo country gospel che ricorda
classici dei Louvin Brothers e di Hank Williams; intensa l'atmosfera di The
Debt, ancora attraversata da fremiti blues e dalla bella chitarra riveberata
di Johnny Gomez; più eterea la struttura di You'll Se
His Face in Me, fino ad appordare al canto a cappella di Just a
Journey Home. Fra tante proposte di genere più propagandate, un piccolo album
che forse passerà inosservato eppure potrebbe regalare soddisfazioni ai più tradizionalisti
fra di voi.