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sons
of American 70s Rock di
Silvio Vinci (02/08/2013)
Quando una band intitola, dopo tre discreti lavori, il quarto disco come il nome
della band stessa significa che in qualche modo si sente matura e convinta di
aver raggiunto una propria dimensione, un proprio suono e line up stabile. E'
quello che succede ai Lonely H, combo di Nashville, Tennessee, USA; interessante
quintetto, che dopo aver - appunto - già dato alle stampe tre buone incisioni
ha lavorato sodo in sala di registrazione (Sealab Studios di Nashville con Dexter
Gordon alla consolle), con produzione propria e maniacale attenzione ai particolari,
specialmente maggior attenzione alle parti vocali, fino alla realizzazione di
The Lonely H, dischetto che ha scaldato notevolmente, in questi
già caldi giorni di luglio, i miei neuroni. Mark Fredson (voce, tastiere), i fratelli
Eric (chitarra) e Johnny Whitman (basso), Ben Eyestone (batteria), e il nuovo
arrivato Zach Setchfield (chitarra), sono musicisti che uniscono alla naturale
propensione per il country rock, l'amore e il rispetto per il rock americano dei
sessanta e settanta. La musica dei Lonely H è tutta stelle e strisce, nonostante
la marcata derivazione Stonesiana (quella di Exile On a Main Street), ancor più
evidente grazie al contributo ai fiati, presenti qua e là, di Bobby Keys.
E' come se uscisse dal capolavoro di Jagger e Richards, il primo brano
Try Again, bello tosto, chitarre sature e
decise così come il secondo pezzo in scaletta, Runaway,
a metà tra il Tom Petty fine settanta e il rock FM, perfetto per le autostrade
statunitensi. L'anima americana, quella di Nashville, si rivela con il terzo brano,
Waiting on a Broken Heart, buona ballata da
pomeriggio in giardino, con tramonto che invita al barbecue. Lights
Burn Out, riprende il sound 70, tra Stones, Doobie Brothers, Bob Seger
ed è quello che mi convince di più; è questo il terreno dove si esprimono meglio
i nostri amici. Head In the Clouds è perfetta,
in linea con la precedente, scivola via che è un piacere e invita a muovere il
piedino come deve fare una sana rock song americana. Sicuramente la mia preferita
di tutto il disco. Love Her Anyways paga il
giusto tributo al giovane Bruce Springsteen, When You
Don't Call me vira sullo slow, ballata arricchita dal bel suono dell'organo
e dai cori. Move On Allright e
Riding The Clutch suonano ancora sul binario rock FM, con i classici
riff di chitarra, giro melodico e batteria in 4/4.
Chiude il disco la
bella ballata Highway Heart, con il generoso
lavoro di cori che ricorda il celebrato Eagles sound anni 80. Un disco ben suonato,
ben prodotto, gradevolissimo accompagnamento serale, tuttavia niente di straordinario,
gradevole ma di routine per i gusti di chi ha masticato per 30 anni tutto il rock
60 -70 e 80, compreso il revival Paisley Underground americano, maturo ma molto
sul già sentito. Uno tra tanti gruppi americani, The Lonely H, che per gli appassionati
del genere sarà soddisfacente avere nel proprio scaffale, ma per chi volesse nuova
linfa potrebbe essere solamente una veloce meteora.