Beck
Morning Phase
[
Virgin/ EMI 2014]

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File Under: singer-songwriters lessons

di Fabio Cerbone (24/02/2014)

È lo stesso Beck a sancire espressamente il legame di sangue tra il nuovo Morning Phase, disco che segna il debutto discografico per la Capitol, e il suo precedente "esperimento" nel campo della canzone folk più austera, quel Sea Change che aveva affascinato e sorpreso tra malinconie acustiche degne di un Nick Drake ed eleganti orchestrazioni. Anche la squadra dei musicisti raccolti intorno a sé non lascia spazio a dubbi: il chitarrista Smokey Hormel, Justin Meldal-Johnsen al basso, le tastiere di Roger Joseph Manning Jr. e i tamburi di Joey Waronker, backing band che ha fatto da contraltare ad alcune recenti uscite del musicista californiano, sono un trait d'union alla luce del sole, così come la mano raffinata del padre David Campbell negli arrangiamenti sontuosi per archi, che di tanto in tanto avvolgono, con ricercata grazia, le ballate dell'album. Interrompendo un silenzio di cinque anni da Modern Guilt, faccia più sperimentale e pop del Beck autore che non aveva suscitato grandi entusiasmi, in verità trascorsi fra mille impegni (singoli sparsi e soprattutto le interessanti produzioni per Stephen Malkmus e Thurston Moore), Morning Phase si riappropria di quella componenente classica che da sempre cova sotto l'immagine più "d'avanguardia" dell'artista.

Esplicitamente ispirato, come ammette Beck, da una dieta musicale californiana, dove Byrds (ne trovate vaghi riflessi in Blackbird Chain), Crosby Stills and Nash, Neil Young, il country cosmico di Gram Parsons e la delicata psichedelia del David Crosby solista sembrano essergli apparsi sulla strada quali muse ispiratrici, sempre affascinato dallo spleen folk del citato Nick Drake (l'impalpabile, lucente Turn Away) e aggiungendovi delicati spunti pop che sembrano sbucare dal songbook del John Lennon più elegiaco, Beck ha realizzato un ciclo di canzoni dal fascino sottile ed etereo, che entrano in circolo come una tenue brezza. È un Beck confessionale e a cuore aperto quello che si presenta a noi in queste tracce, fra sospiri e languori mattutini appunto, introdotti e inframmezzati dalle magniloquenti orchestrazioni di Cycle e Phase, tendenza che tocca il suo apice con l'accopiata di Unforgiven e Wave, quest'ultima per sola voce e archi, passando quindi in rassegna il terso folk cameristico di Morning e il leggiadro soffio pop, degno di un Brain Wilson, in Heart is a Drum, tra i brani armonicamente più ambiziosi di un disco altrimenti contrassegnato da una serenità musicale all'apparenza quasi giocata in sottrazione.

In verità, sono moltissimi i dettagli che balzano in superficie dopo un ascolto ripetuto: è il mood giusto quello che ci chiede di abbracciare Beck e una volta acciuffato si rivela in tutta la richezza melodica nascosta dal sound ovattato di Blue Moon e Blackbird Chain, nel finale beatlesiano di Waking Light, episodi che contrastano dolcemente con l'anima più folkie di Morning Phase, rappresentata dal volteggiare pigro di Say Goodbye, con un soffuso banjo a spargere semi di tradizione, oppure dalla strepitosa Country Down, uscita direttamente da una session di Harvest (Neil Young). Canzoni nate lontano, alcune concepite in origine persino nel 2005, in buona parte riviste e catturate in tre giorni di registrazioni a Los Angeles lo scorso anno: Beck si è rimesso in corsa e sopratutto ha trovato ancora linfa vitale nel volto più pacato e minimalista del suo songwriting, con un talento compositivo innato.


    


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