The DeSoto Caucus
The DeSoto Caucus

[Glitterhouse/ Goodfellas 2014]

www.desotocaucus.com

File Under: danish desert rock

di Fabio Cerbone (05/05/2014)

Misteriosa e desertica quanto basta per iscriverli alla scuola del grande rock di frontiera, la musica dei DeSoto Caucus rivendica legittimamente un posto in prima fila, dopo anni di ispirato lavorio nella retroguardia del genere. Allargati definitivamente a quintetto, questi musicisti danesi di Aarhus si ritrovano alla seconda uscita internazionale (l'esordio per la Glitterhouse nel 2013 con l'interessante Offtramp Rodeo) con una precisa raffigurazione del loro suono, modellato secondo la lezione di Howe Gelb e dei Giant Sand, dei Calexico o dei Friends of Dean Martinez, insomma di quella linea epica e sabbiosa che attraversa spesso l'Arizona. D'altronde, come potrebbe essere altrimenti per degli strumentisti che hanno accompagnato lo stesso Gelb nelle sue più recenti uscite soliste e nella stessa riformulazione dei Giant Giant Sand (con la splendida "desert opera" di Tucson), nonché partner ideali nei tour di Kurt Wagner (Lambchop), Scoutt Niblett e della coppia Isobel Campbell/ Mark lanegan.

È racchiuso insomma un intero immaginario in queste collaborazioni e la musica del nuovo omonimo album non fa che ribadire tali fascinazioni, con una indiscutibile qualità del songwriting (visioni dalla strada, figure un po' metafisiche e riferimenti a luoghi concreti e dell'anima) e arrangiamenti che richiamano lo stile di riferimento principale di cui sopra. È forse il vero limite di una simile proposta: l'idea dunque che il groove denso di Skills of Warfare, i riverberi di Wasteland e quelli più sinistri e rallentati di Stepping Outside descrivano un recinto sonoro molto riconoscibile per i DeSoto Caucus, legandoli per sempre ai loro punti di riferimento. È tuttavia una musica così affascinante quella ricreata da Anders Pedesern (voce principale, chitarre e synth) e compagni, tra cui spiccano i mille ricami di Nikolaj Hayman (chitarre, basso, organo, marimba e altre diavolerie assortite) che il loro incedere si fa spesso oscuro e sospeso, ma si apre anche alla luce rock sixties di Just the Other Day, all'organo soul che attraversa Lighthouse, ad una febbricitante e disturbata Don't Fear, tra feedback, ritmiche e stridori elettrici che ricordano il migliore Beck d'annata.

Certo, ascoltando il mormorio un po' obliquo di Bridges of Bern e l'andamento narcolettico di Crack in the Cover, tra vaghe rifiniture jazzy e country di frontiera, non si può non finire con la mente alle dinamiche create dal maestro Gelb, così come Nail in the Wall potrebbe essere il singolo che i Calexico non azzeccano da tempo immemore. Queste presenze aleggiano costanti sulle incisioni dell'omonimo The DeSoto Caucus, ma non per questo le rendono meno seducenti nel loro aspetto di Americana dal respiro "cosmico", spesso e volentieri più accattivante degli originali stessi: un finale rallentato, fra code psichedeliche e sentori gospel in Lonesome Train è la quintessenza di quanto descritto. A dir poco intriganti.


     


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