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weird americana di
Fabio Cerbone (10/10/2014)
A
ventotto anni il californiano Blake Mills è già una sorta di veterano delle
sale di registrazione, chitarrista e produttore che ha messo lo zampino in una
lunga serie di dischi: dalle pubblicazioni più mainstream a certo rock d'autore
che sconfina nell'attuale paesaggio Americana, Mills ha suonato fra gli altri
con Jenny Lewis, Band of Horses e Lucinda Williams, si è quindi materializzato
in studio con Beck, Jackson Browne, Neil Diamond e di recente si è preso carico
dell'imminente lavoro degli Alabama Shakes. Insomma, uno dei classici esempi di
"musicista per musicisti", che piano piano si sta creando una reputazione
inattaccabile, fino a ricevere il plauso di gente come Don Was ed Eric Clapton,
il quale ha rilasciato parole davvero lusinghiere sul ragazzo. L'esordio del 2010,
Brake Mirrors, è stato il primo tentativo di mettere in luce le sue idee, concepito
più come una sorta di biglietto da visita, ed ha funzionato a quanto pare.
A
quattro anni di distanza Heigh Ho potrebbe essere il disco della
consacrazione, anche se è talmente coraggioso e bello, tutto incentrato sulla
ricerca del suono e degli arrangiamenti, da risultare merce rara e assai lontana
da ambizioni da prima donna. Tanto è vero che le stesse importanti presenze del
citato Don Was, di Jim Keltner, Benmont Tench o Mike Elizondo non
cambiano di una virgola la visione di Mills, capace di attirare questi fuoriclasse
come tanti satelliti intorno alla sua proposta. I risultati sono qui da ascoltare,
in uno dei dischi più intriganti e sfuggenti del 2014, quanto meno restando nel
campo della tradizione rock. Non c'è dubbio infatti che Mills lavori sulla materia
delle radici, partendo dal suo strumento principe, la chitarra, ed elaborando
i linguaggi blues e country con nuove sonorità: si inizia con il tremolio soul
per chitarra e voce If I'm Unworthy, la sua
attesa infinita e le divagazioni soliste dall'acido profumo psichedelico, si continua
con le progressioni, ricche di swing e sapori retrò, di Cry
to laugh e già si intuisce di essere avvolti da canzoni eccentriche,
eppure cesellate nei minimi dettagli.
È l'impegno nella produzione che
risulta a dir poco sorprendente, prendendo spunto dalle migliori illuminazioni
di gente come T Bone Burnett e Daniel Lanois, lasciando fluire suoni liquidi in
Just Out of View ed usando anche lo strumento della voce in modo molto
confessionale e timido in Gold Coast Syncin
e nell'incantevole finale acustico di Curable Disease.
Il gusto allo strumento ricorda moltissimo Ry Cooder (basterebbe l'inconsueto
strumentale Shed Your Hed, sette minuti di
pura inventiva in coppia con Keltner), mentre certa stravaganza di alcune soluzioni
musicali (le originali coloriture latine di una strampalata Three Weeks in
Havana o le movenze mariachi che "sporcano" la melodia di Before
it Fell) omaggia un genietto come Van Dyke Parks. Blake Mills sembra
accomodarsi naturalmente in questo pantheon di "irregolari" con tutta la forza
di un sapiente autore, anche quando prende per mano la tradizione country e folk
in Seven e Dont Tell All Our Friends,
doppio incontro con la seconda voce di Fiona Apple, sciogliendola fra dolcezze
acustiche ma senza rinunciare all'originalità del suo tocco.
Heigh Ho
esige disposizione d'animo, grande curiosità d'ascolto, ma ripaga tutto con gli
interessi: seguitene giudiziosamente le curve e scoprirete una delle rivelazioni
dell'anno.