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garage rock pioneers di
Fabio Cerbone (14/04/2015)
Forse
siete già al corrente della storia a lieto fine: il ritorno, dopo quasi cinquant'anni,
di una delle creature più selvagge del rock'n'roll, The Sonics da Tacoma,
Washington. In caso contrario è bene fare un breve riassunto di quanto è successo
nella vita (e nella carriera) di questi superstiti della stagione di Nuggets,
quando teppistelli bianchi di mezza America imbracciavano le chitarre negli scantinati
e spargevano semi di follia per il paese, in nome di una rivoluzione elettrica.
Considerati il prototipo della garage band, rozzi e cattivi, precurosori del punk
a venire e sorta di Santo Graal di ogni purista del rock'n'roll bianco, The Sonics
sconquassarono il mondo con Here Are The Sonics e Boom, coppia di album per la
Etiquette che facevano letteralmente a pezzi il primigenio rock di Little Richard
e Kingsmen (celeberrima la versione di Louie Louie), affiancando all'arte
delle cover un pugno di brani originali come The Witch, Psycho, Boss Hoss o The
Hustler, che entreranno di diritto nella storia del genere.
A essere sinceri
The Sonics non sono mai scomparsi del tutto, anche se il tramonto degli anni Sessanta,
l'avvento della psichedelia e delle nuove frontiere del rock li aveva eclissati
come fenomeno di puro revival. Ma tra qualche cambio di formazione, appropriazioni
indebite della sigla e altre vicissitudini sparse, la loro avventura è arrivata
fino ai giorni nostri, allor quando nel 2007 la band ha ripreso regolarmente le
esibizioni dal vivo. This Is the Sonics è il completamento di questo
percorso, con tre membri originali - Gerry Roslie, voce sguaiata, piano e organo;
Larry Parypa, chitarre abrasive; Rob Lind, sax grasso e potente - affiancati dalla
nuova sezione ritmica formata da Freddie Dennis e Dusty Watson e un regista di
vaglia come Jim Diamond (White Stripes, Dirtbombs) a tenere le fila. Se
in questi anni il nuovo sound garage di Detroit, di cui il citato Diamond è stato
uno dei principali architetti, ha preso vigore, e se giovani realtà come Ty Segall
o Thee Oh Sees hanno ridato linfa al suono fuzz e gracchiante del garage rock,
è allora legittimo che The Sonics reclamino il ruolo di padri putativi e un briciolo
di gloria passata.
Quello che forse nessun avrebbe messo in conto è la
sfiacciataggine e la freschezza con cui affrontano il repertorio, sempre diviso
fra brani altrui e materiale originale, di questo nuovo album. Il quale resta
una bomba di pura adrenalina elettrica, sfilacciato dalle urla di Roslie e del
suo piano boogie, dalle fragorose incursioni del sax di Lind e più in generale
da una eterna adolescenza che rende questa musica fuori del tempo: dall'assalto
di I Don't Need No Doctor (Ray Charles) all'incalzare
senza respiro di Be a Woman, dal punk rock sfrontato di Bad
Betty al ringhiare chitrarristico di The Hard Way (Kinks) non
c'è un attimo di pausa. Niente moine e carezze da queste parti, The Sonics sono
ancora i cavernicoli del rock'n'roll, in eterna adorazione di Bo Diddley (la classica
You Can't Judge A Book by the Cover) e Hank Ballard (il r&r convulso di Look
At Little Sister, che ricorda i discepoli della Jim Jones Revue, altra
band figlia della lezione Sonics) e capaci di rielaborare tali radici nella loro
essenziale, sgraziata, divertita idea di rock: che si intitoli I Got a Number,
Sugaree, che sia originale o un oscuro brano
della preistoria di questa musica, poco importa, perché suona tutto vitale.
Livin' In Chaos strepita a un certo punto
Gerry Roslie: come non dargli ragione e abbracciare senza condizioni la sua filosofia
di vita?