Redd Kross
Beyond the Door
[
Merge/ Goodfellas 2019]

reddkross.com

File Under: power rock

di Fabio Cerbone
(27/09/2019)

Quando si dice una band che ha fatto scuola. Di solito la fregatura, per i protagonisti, è dietro l’angolo: destinati al culto, misconosciuti, se va bene tributati dopo la scomparsa, senza raccogliere i frutti delle loro intuizioni musicali (che qualcun altro sfrutterà meglio). Nel caso dei californiani Redd Kross non è andata esattamente così, perché la loro ostinazione e anche la lungimiranza di non eccedere con le pubblicazioni (sette dischi ufficiali in quasi quarant’anni di storia, al netto dei singoli e di qualche ep sparso), li ha mantenuti giovani nello spirito, freschi nell’attitudine, ispirati nella concezione degli album.

La band dei fratelli Jeff e Steven McDonald ha assunto più forme nel corso del tempo, mantenendo stabile soltanto la coppia al centro delle canzoni, insieme da quando erano due ragazzini usciti dalla scuola media. Oggi ci sono la batteria arcigna di Dale Crover (Melvins) e le chitarre di Jason Shapiro (Celebrity Skin) a completare il quartetto di base (con l’aggiunta del piano saltellante di Gere Fennelly), ma la sostanza resta invariata, quelle sberle di power pop, chitarre glam e attitudine punk melodica che li hanno resi oggetto di venerazione nel mondo underground americano (dai Nirvana ai Weezer, un seme è stato piantato nell’esplosione alternativa dei Novanta).

Beyond The Door
segue di sei anni l’inatteso ritorno sulle scene di Researching the Blues, confermando l’età “matura” di un gruppo che tuttavia, per definzione, resterà adolescenziale fino alla morte: più concisi, scafati, cesellatori di riff granitici e ganci pop, i Redd Kross restano comunque adorabili divulgatori di una cultura rock’n’roll fumettistica, gioiosamente fracassona, votata alla festa, qui annunciata con la cover d’apertura The Party (Henry Mancini rivoltato in piccante salsa garage rock e con ammiccamenti sixties), un manifesto. La sgroppata elettrica di Fighting ha quindi il compito di ribaltare il tavolo e animare la serata: da qui in poi non c’è respiro e non c’è pausa, una mezz’ora e poco più e undici canzoni che arrivano dritte al punto, efficaci nell’erigere il culto dei Redd Kross. Il piano trilla esultante sullo sfondo della title track, Ice Cream (Strange and Pleasing) è pura sunshine California, The Party Underground saccheggia ancora fra le anticaglie sixties, mettendo in comucazione i Beach Boys con l’hard rock, mentre le varie There’s No One Like You, What’s a Boy To Do e Jone Hoople sono caramelle pop punk dove le chitarre parlano quanto la melodia, come se i Cheap Trick avessero ingaggiato i Sex Pistols di spalla.

A fine anni Ottanta erano un oggetto fuori moda o forse in anticipo sui tempi (recuperate, se gradite, Neurotica del 1987), nel decennio successivo avrebbero potuto sfruttare l’esplosione grunge (e la sfiorarono con Phaseshifter nel 1993), adesso i Redd Kross si godono l’aura di maestri, magari un poco sui generis, ma capaci di ripescare When Do I Get To Sing My Way degli Sparks e trasfigurarla dal più gelido synth pop di partenza in una ruzzolante ballata che spara scintille rock.


    


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