Ottantacinque anni raggiunti con fierezza da poche
settimane, Shirley Collins sta vivendo un'inaspettata seconda carriera.
Il ritorno sulle scene è stato scandito da Lodestar, album
del 2016 che riproponeva a sorpresa la voce della grande interprete folk
inglese, a quasi quarant’anni dal suo ufficiale abbandono discografico
(era la fine dei Settanta e la stella di Shirley cedeva idealmente lo
scettro ad altre generazioni di musicisti). Heart’s Ease
si è fatto attendere altre quattro stagioni, tempi che non sembrano tenere
conto dell’età della Collins, ma solo di una sincera proposta artistica,
quella stessa che sappia trasmettere la forza di un ciclo di canzoni,
quattro inediti e una manciata di arcane ballad tradizionali, dove il
tono si è reso ancora più omogeneo, lucido, attento alla forma e alla
sostanza di questa musica dal fascino ancestrale.
Shirley Collins - per chi si fosse distratto è doveroso riassumerne in
breve le gesta - è stata un’autentica eroina della ricerca sul linguaggio
folk: gli esordi al fianco di Alan Lomax, era la fine dei Cinquanta, in
un itinerante indagine sul campo nell’America profonda, riportando poi
a casa quelle folk song di immigrati nel Nuovo Mondo attraverso album
preziosi, in coppia con Davy Graham (il fondametale Folk Roots, New
Routes del 1964) e poi con la sorella Dolly. Il percorso sarebbe continuato
per un altro decennio, grazie al legame sentimentale e artistico con Ashley
Hutchings (Steeleye Span, Fairport Convention) e le produzioni insieme
alla Albion Band, fino al disgregarsi di un amore (lei già divorziata
dal primo marito, il produttore e autore Austin John Marshall), per la
musica e probabilmente anche per un certo tipo di vita. Da qui la profonda
crisi, la perdita della voce (una grave forma di disfonia), l’allontanamento
dal palco e il ritiro familiare, a crescere i figli.
Fino alla resurrezione del citato Lodestar e addirittura di un
documentario (The Ballad of Shirley Collins) a lei dedicato, complice,
è bene ricordarlo, David Tibet dei Current 93, tra i primi a sostenere
con passione la causa di Shirley Collins. La quale adesso gorgheggia con
un timbro più misurato e austero in The Merry
Golden Tree e Rolling in The Dew, naturale espressione
di una donna che ha superato gli ottanta, ma mantiene una padronanza e
un sentimento rari. Certo, il suono di Heart’s Ease riflette integrità
acustica, un candore folk che più rigoroso non si può, ma la magia è proprio
nel suo contegno fatto di strumenti e voci della tradizione: chitarra
e mandolino a sorreggere il canto fragile di Locked in Ice, mentre
la scura Woundrous Love torna ai cosiddetti
field recordings con Alan Lomax, dissotterrando una ballata picaresca
(protagonista la storia del capitano William Kidd) dei primi del Settecento.
Il vestito di queste canzoni è trasparente, il suono essenziale, ad esaltare
la delicatezza di “filastrocche” quali Barbara Allen e Canadee-i-o,
intrecciando cristallino fingerpicking e note di violino nella splendida
litania roots di Sweet Greens and Blues
e persino un’armonica nel tono campestre della melodia di Whitsun Dance.
La rivelazione nel finale: dopo lo strumentale Orange in Bloom,
sorge l’onda un po’ spettrale e un po’ onirica di Crowlink,
brano inedito che ammanta la voce della Collins in un mare periglioso
di folk e drappi di elettronica.