Nap Eyes
Snapshot of a Beginner

[Jagjaguwar 2020]

napeyes.com

File Under: hi-fi indie

di Fabio Cerbone (10/04/2020)

Che Nigel Chapman, principale autore in seno ai canadesi Nap Eyes, fosse un personaggio singolare e dalla naturale propensione al gesto riflessivo, lo avevamo già intuito lungo il percorso discografico della band, con canzoni che evidenziavano passaggi esistenzialisti, un modo di scrutare il mondo intorno a sé. Non avremmo mai scommesso sul fatto che si arrivasse a paragonare la carriera del gruppo a quella di una vera e propria seduta di meditazione tai chi, attività che Chapman deve chiaramente prendere molto sul serio. Ecco che dopo una trilogia in fase crescente, la quale attraverso la maturità di I’m Bad Now poneva i Nap Eyes tra i migliori portabandiera di un indie rock trasognato e dalle melodie chitarristiche sghembe, perfettamente elusive, il nuovo corso viene descritto come un ulteriore passo di acquisita consapevolezza, ogni volta un ritorno alla pratica quotidiana del tai chi dopo un album pubblicato e un tour, e ogni volta qualcosa in più da aggiungere alla personale crescita artistica.

Così Snapshot of a Beginner si presenta nelle vesti di chi sa attendere pazientemente la piena sbocciatura, dei procrastinatori, come si definiscono i Nap Eyes, che si guadagnano i loro spazi con lentezza e imparano senza pressioni di sorta. Tradotto più prosaicamente, tutto ciò significa che queste undici tracce, prodotte presso i Long Pond Studios nella campagna dello stato di New York, insieme a Jonathan Low (Big Red Machine, The National) e James Elkington (Steve Gunn, Joan Shelley), forzano la mano e le ambizioni sonore, levigano quel tanto che basta il suono per condurre i Nap Eyes a un diverso grado di cognizione. Il sound della formazione non ne esce affatto snaturato, poiché restano sotto traccia le melodie sornione e quel docile torpore folk rock che avvolge la partenza di So Tired, squarciata d’improvviso dagli scrosci dell’elettrica di Brad Loughead, elemento oggi più che mai essenziale, oppure l’incedere sfaldato di Mistery Calling e Fool Thinking Days.

Nel mezzo si insinuano tentazioni rock più dirette, che all’amore mai nascosto per quel sentiero nerwyorkese che va da Lou Reed a Jonathan Richman (come non intestarne la parternità al primo colpo con Primordial Soup e Dark Link), oggi si arrichisce di scintille come quelle sprigionate dal singolo Mark Zuckergerb (proprio il guru di facebook, che qui è pretesto per considerazioni sociali più ampie sui nostri rapporti umani), di un’animosità punk che esplode contenuta in If You Weere in Prison e nel finale di Though I Wish I Could, dal tenore quasi scanzonato negli arrangiamenti pop chitarristici. Innegabile che tutto questo possa risultare spiazzante, insinuare un senso di tradimento per la loro, soltanto ipotetica avventura in hi-fi: i Nap Eyes hanno voglia di sciogliersi un poco e noi gli concediamo volentieri di fluttuare sull’armoniosa Americana dell’imbambolata Even Though I Can’t Read Your Mind, da qualche parte in territori Wilco, vicinanza di attitudine con lo stile della band di Jeff Tweedy che salta all’occhio anche negli intrecci di Real Thoughts, dove una chitarra pungente sembra fare il verso a Nels Cline.

Lavoro che cresce sulla distanza, classico esempio di slow burner direbbero gli americani, Snapshot of a Beginner non è "imperfettamente" adorabile come i precedenti capitoli, ma almeno sembra non imprigionare i Nap Eyes dentro un percorso obbligato.


    


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