Che Nigel Chapman, principale
autore in seno ai canadesi Nap Eyes, fosse un personaggio singolare
e dalla naturale propensione al gesto riflessivo, lo avevamo già intuito
lungo il percorso discografico della band, con canzoni che evidenziavano
passaggi esistenzialisti, un modo di scrutare il mondo intorno a sé. Non
avremmo mai scommesso sul fatto che si arrivasse a paragonare la carriera
del gruppo a quella di una vera e propria seduta di meditazione tai chi,
attività che Chapman deve chiaramente prendere molto sul serio. Ecco che
dopo una trilogia in fase crescente, la quale attraverso la maturità di
I’m
Bad Now poneva i Nap Eyes tra i migliori portabandiera di un
indie rock trasognato e dalle melodie chitarristiche sghembe, perfettamente
elusive, il nuovo corso viene descritto come un ulteriore passo di acquisita
consapevolezza, ogni volta un ritorno alla pratica quotidiana del tai
chi dopo un album pubblicato e un tour, e ogni volta qualcosa in più da
aggiungere alla personale crescita artistica.
Così Snapshot of a Beginner si presenta nelle vesti di chi
sa attendere pazientemente la piena sbocciatura, dei procrastinatori,
come si definiscono i Nap Eyes, che si guadagnano i loro spazi con lentezza
e imparano senza pressioni di sorta. Tradotto più prosaicamente, tutto
ciò significa che queste undici tracce, prodotte presso i Long Pond Studios
nella campagna dello stato di New York, insieme a Jonathan Low (Big Red
Machine, The National) e James Elkington (Steve Gunn, Joan Shelley), forzano
la mano e le ambizioni sonore, levigano quel tanto che basta il suono
per condurre i Nap Eyes a un diverso grado di cognizione. Il sound della
formazione non ne esce affatto snaturato, poiché restano sotto traccia
le melodie sornione e quel docile torpore folk rock che avvolge la partenza
di So Tired, squarciata d’improvviso
dagli scrosci dell’elettrica di Brad Loughead, elemento oggi più che mai
essenziale, oppure l’incedere sfaldato di Mistery Calling e
Fool Thinking Days.
Nel mezzo si insinuano tentazioni rock più dirette, che all’amore mai
nascosto per quel sentiero nerwyorkese che va da Lou Reed a Jonathan Richman
(come non intestarne la parternità al primo colpo con Primordial
Soup e Dark Link), oggi si arrichisce di scintille come
quelle sprigionate dal singolo Mark Zuckergerb
(proprio il guru di facebook, che qui è pretesto per considerazioni
sociali più ampie sui nostri rapporti umani), di un’animosità punk che
esplode contenuta in If You Weere in Prison e nel finale di Though
I Wish I Could, dal tenore quasi scanzonato negli arrangiamenti pop
chitarristici. Innegabile che tutto questo possa risultare spiazzante,
insinuare un senso di tradimento per la loro, soltanto ipotetica avventura
in hi-fi: i Nap Eyes hanno voglia di sciogliersi un poco e noi gli concediamo
volentieri di fluttuare sull’armoniosa Americana dell’imbambolata Even
Though I Can’t Read Your Mind, da qualche parte in territori Wilco,
vicinanza di attitudine con lo stile della band di Jeff Tweedy che salta
all’occhio anche negli intrecci di Real Thoughts,
dove una chitarra pungente sembra fare il verso a Nels Cline.
Lavoro che cresce sulla distanza, classico esempio di slow burner direbbero
gli americani, Snapshot of a Beginner non è "imperfettamente"
adorabile come i precedenti capitoli, ma almeno sembra non imprigionare
i Nap Eyes dentro un percorso obbligato.