Doveva accadere prima o
poi che il britannico Ben Watt, ormai non lontano dal traguardo
dei sessant’anni di età e dai quaranta di carriera, decidesse di passare
dalla tesi alla sintesi. Storm Damage, terzo capitolo della
sua nuova carriera solista dopo i bellissimi Hendra e Fever
Time (ma quarto contando l’antico esordio di North Marine Drive
del 1983), è infatti un disco che per la prima volta nella sua storia
fa tesoro di tutte le influenze stilistiche abbracciate nel corso degli
anni. L’iniziale Balanced on a Wire
lo rende subito evidente: c’è l’indie-folk dei suoi ultimi lavori nella
struttura delle canzone, c’è quel tocco leggero di elettronica dei tempi
degli anni Novanta, quando i suoi Everything But The Girl salirono con
successo sul carro del trip-hop, ma c’è anche il raffinato jazz-pop per
cui la sigla era divenuta celebre negli anni ottanta, prima che la compagna
di viaggio Tracey Horn decidesse di seguire strade separate, anche se
solo artisticamente (curiosamente i due si sono sposati parecchio tempo
dopo la fine della band).
Nessun cambio di rotta dunque, solamente, rispetto ai due album precedenti,
Watt ha deciso di ampliare lo spettro di suoni e influenze, e così anche
un brano pianistico come Summer Ghosts arriva a ricordare un certo
ispirato pop-elettronico alla John Grant, quando invece A Retreat To
Find intreccia un giro acustico folk con un contrabbasso jazz, mentre
Figures in The Landscape ripropone duelli tra orchestrazioni e
pianoforte alla Style Council. Molto bella Knife
In the Drawer, sempre in bilico tra basi jazz e sperimentazioni
elettroniche, mentre la lunga e delicata Irene,
brano in cui viene aiutato da Alan Sparhawk dei Low, fa giocare benissimo
al ricamo una chitarra con un Wurlitzer, preludio ad una più sintetica
Sunlight Follows The Night che riporta a certo brit-pop anni 90
alla Verve. Completano il quadro Hand, altra malinconica piano-song
che oggi può ricordare molto il lavoro di Bill Fay, e You’ve Changed
I’Ve Changed, brano che torna al pop sofisticato dei suoi anni 80
(e ricorda molto anche i Blue Nile), prima che il finale di Festival
Song faccia dialogare piano e violoncello chiudendo in tinte grigie
un disco davvero intenso.
Registrato in trio, accompagnato da Rex Horan al contrabbasso e Evan Jenkins
alle percussioni, Storm Damage è un viaggio lirico di un uomo che
cerca nella sfera personale le risposte alle angosce derivate dal contesto
politico, qui descritto con toni pessimistici, se non proprio sprezzanti.
È un’opera che ha forse l’unico limite nell’essere un riassunto delle
puntate precedenti nonostante l’evidente grande sforzo produttivo profuso,
ma mantiene il nome di Watt nelle sfere alte dell’attuale panorama di
artisti “storici”, a conferma di quanto la vecchia guardia non abbia ancora
nessuna intenzione di abbandonare il campo.