È curioso e anche un po’ colpevole il fatto che
le strade di RootsHighway non si siano mai incrociate con la carriera
musicale degli Spoon: avrei giurato che almeno il loro celebrato
exploit di critica e pubblico del 2007, Ga Ga Ga Ga Ga, ritenuto
giustamente uno degli album chiave dell’indie rock di quella stagione,
avesse fatto capolino da queste parti. Pazienza, non è mai troppo tardi
per recuperare il tempo perduto e parlare oggi della band texana (da lì
arrivano i due membri fondatori rimasti, il vocalist Britt Daniel e il
batterista Jim Eno), specialmente se in occasione di un disco, il decimo
di studio dall’esordio del 1996, che sembra riportare tutto a casa, all’essenza
più rock con cui si erano formati.
Lucifer on the Sofa possiede tutte le caratteristiche per
colpire nel segno, sia per chi li ha sempre apprezzati e agognava magari
un ritorno alle trame più grezze e instintive del passato, sia per chi
non li ha mai presi in considerazione e scoprirà in questi dieci brani
una rock’n’roll band che riesce a suonare classica e inventiva al tempo
stesso, con i piedi ben saldi nelle fondamenta post punk e “indipendenti”
che li hanno caratterizzati fin dagli esordi. Per compiere questo salto,
Britt Daniel e soci si sono lasciati alle spalle la sborna di suoni più
sintetici che avevano preso il sopravvento soprattutto nel precedente
Hot Thoughts (2017), ricreando invece le dinamiche live nella stessa
incisione di studio, tenutasi fra Los Angeles e Austin con il produttore
Mark Rankin (Adele, Queens of the Stone Age). Proprio il contatto con
l’amata Austin, casa natale degli Spoon, da dove partì la loro avventura
musicale a metà degli anni Novanta, è stata la miccia che ha acceso il
fuoco di Held, curiosa cover di un
brano di Bill Callahan (Smog), spesso suonata dal vivo dagli Spoon e qui
piazzata in apertura per dettare il passo all’intera prima parte di Lucifer
on the Sofa.
Con il twang pungente delle chitarre che avanza in
The Hardest Cut l’album prosegue su questo sentiero, affondando
mani e piedi nella terra blues e classic rock, un po' come fecero a suo
tempo i Primal Scream, rileggendola con la sensibilità moderna del gruppo,
che non si dimentica di avere tra le sue armi migliori una qualità degli
arrangiamenti sempre in grado di suscitare esplosioni pop (My Babe,
Feels Alright, i colori sixties espressi in Astral Jacket),
ritmiche combattute fra ricordi new wave (il peana di On The Radio)
e funk, e un uso intelligente degli intrecci fra tastiere e chitarre (Satellite).
Accade poi che i fiati dettino l’andatura soulful di The
Devil & Mister Jones, mentre il singolo Wild
pulsa con un beat accattivante e si avvia sulle tracce di una ballata
rock dall’epica stradaiola, sebbene il gioiello inaspettato sia posto
in chiusura, proprio con Lucifer on the Sofa,
un sinuoso brano notturno che sguscia tra suoni d’ambiente e sax.
Disco dalla lunga gestazione artistica, iniziato addirittiura alla fine
del 2018 dopo la chiusura del tour del citato Hot Thoughts, ripreso
e interrotto più volte nei due anni successivi, anche a causa delle restrizioni
interventute con la pandemia, Lucifer on the Sofa si trascina così
appresso diversi piani e approcci, ma il lavoro finale di produzione (nel
quale sono intervenuti anche Justin Raisen e Dave Fridmann) ha rimesso
insieme tutti i pezzi, fornendo una uniformità invidiabile alle singole
canzoni.