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Fenne Lily
Big Picture
[Dead Oceans/Goodfellas 2023]

Sulla rete: fenne-lily.com

File Under: indie country-folk


di Fabio Cerbone (29/04/2023)

Non ne usciremo presto dalle conseguenze dei tre anni di pandemia, o quanto meno non dalle ripercussioni sull’anima delle persone, tanto più di quegli artisti che per natura restano più sensibili a tradurre certi sentimenti in musica. Lo fa anche Fenne Lily, cantautrice di origini inglesi divisa fra la sua casa natale nel Dorset e la nuova avventura americana (stabilitasi a New York), il cui stile sussurrato e fragile nel canto rappresenta la quintessenza di quell’indie folk che volge lo sguardo al mondo interiore, esorcizzando relazioni, amori, solitudini e incomprensioni con ballate dai toni ovattati.

Il terzo album di Fenne - esordio a poco più di vent’anni con On Hold (2018) e seguito fortunato con Breach (2020), album “americano” prodotto con calibri da novanta come Brian Deck e Steve Albini in quel di Chicago - segue un percorso di lenta ma costante costruzione del sound intorno alla sua vocalità così eterea, dalla matrice folk, verso spunti più elettrici, persino cadenze Americana e alternative country, probabilmente maturate dalla nuova collaborazione con l’attuale produttore Brad Cook e il fratello Phil, che hanno contribuito alle incisioni (in gran parte dal vivo) nei loro studi in North Carolina. Ma è la stessa Fenne Lilly a dichiarare un’intenzione più “roots” nell’approccio compositivo, citando il compianto Ronnie Lane e il suo progetto Slim Chance, in particolare con la canzone Roll On Babe, come punto di partenza per delineare lo stile compositivo di Big Picture.

C’è del vero, pur prendendo questi accostamenti sempre come leggere “forzature”: Fenne Lily appartiene a un’altra generazione, quella ascrivibile alle varie Laura Marling o Indigo Sparke e Le Ren, ma adatta il mood di queste vulnerabili confessioni di coppia, nate proprio in quel periodo turbolento e appartato della pandemia, a spunti che si dividono tra vaporose leggerezze indie-americana e tenui melodie pop, come è possibile apprezzare in Dawnclored Horse (ispirata dalla lettura di una poesia di Richard Brautigan) e Lights Light Up, mentre l’apertura di Map of Japan ammicca a un giro di accordi molto familiare, con una latente attitudine rock.

È apprezzabile soprattutto il lavoro di paziente miniatura che band e produttore costruiscono intorno alle liriche di Fenne Lily, dal quale emergono le limpide sottolinature delle chitarre di Joe Sherrin in 2+2 e Pick, quest’ultima tra le più vivaci con quel suo sobbalzare alla Wilco, sebbene sia proprio l’interpretazione della Lilly a volte a frenare un po’ l’entusiasmo: il candore di Superglued e Half Finished, la rarefazione di Henry, fino alla replica di certi schemi da country da cameretta in Red Deer Day finiscono per uniformare troppo queste canzoni, un continuo bisbigliare di sentimenti e dubbi che sulla distanza sembra riflettere esattamente quella campana di vetro ritratta in copertina, opera dell’artista Thomas Doyle.


    


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