Quest’anno American Ceasar di Iggy Pop
compie 30 anni. Paiono un'eternità, se si pensa che l’album fu giustamente
considerato il disco della maturità, visto quanta farina solo del suo
sacco si trovava lì dentro, dopo che per anni la sua carriera solista
era stata considerata come ombra di quella dell’amico David Bowie. Da
allora il percorso di Iggy però si è fatto tortuoso e per nulla lineare,
con revival giovanilistici (la reunion degli Stooges), prodotti pensati
per il pubblico dei Green Day e Limp Bizkit (Naughty Little Doggie,
Skull Ring), impensabili svolte da chansonnier alla francese (Preliminaires,
Après), unplugged in studio (Avenue B), adorabili pastrocchi
rock (Beat Em Up) e addirittura sperimentazioni jazzy (Free).
Tra i tanti forse solo il secondo capitolo degli Stooges (Ready to
Die), e la riuscita collaborazione con Josh Homme (Post
Pop Depression) hanno convinto tutti, ma lui ormai sa di essere
un mito intoccabile a cui si perdona ogni cosa, e tira dritto per una
strada dove l’unico senso resta la sua naturale anarchia artistica.
Every Loser arriva come primo album importante del 2023,
a seguire quindi un percorso pieno di deviazioni, staccandosi completamente
dal suo predecessore Free, e riabbracciando un certo neo-punk-revival
per cui è riconosciuto (Frenzy, Neo
Punk, il finale di The Regency), ma che forse, appunto, suona
oggi un po’ caricaturale, aggiungendo tuttavia nuovi mattoni alla sua
bizzarra casa. Quello che si può notare è che per la prima volta realizza
un disco senza una precisa identità, perché oltre ai già citati brani
“da pogo”, qui troviamo anche rock radiofonici figli dell’era Brick
By Brick (Strung Out Johnny, Modern
Day Ripoff, la riuscita All The Way Down,
e la ballatona Morning Show), sia nuove avventure in un mondo quasi
brit-pop (New Atlantis, The News For Andy, Comments
con la sua tastiera anni 80), a dimostrazione che la sua voce può davvero
sposarsi con tutto.
Produce il tutto con un occhio alla modernità il patron della Gold Tooth
Records, Andrew Watt, che ha coinvolto una serie di ospiti che fanno più
devota presenza che non peso specifico, come Chad Smith dei Red Hot Chili
Peppers, Duff McKagan dei Guns N’ Roses, Dave Navarro dei Jane’s Addiction
e, in una delle sue ultime apparizioni, lo scomparso Taylor Hawkins dei
Foo Fighters. Alla fine tutto fa colore intorno a un uomo che col proprio
mito ci gioca parecchio, tanto da essere anche uno dei pochi che lo può
vendere al miglior offerente (ad esempio ai Måneskin) senza che il prestigio
ne venga minimamente intaccato. Perché lui rappresenta meglio di tutti
il lato animalesco del rock che fu, quella carica che porta un settantaseienne
a girare ancora senza maglietta senza apparirci ridicolo (d’altronde,
accettiamo pure che qualcuno giri ancora vestito da scolaretto no?).
Non è un disco fondamentale per la sua carriera questo Every Loser,
pieno com’è di brani non proprio memorabili, anche se è un album innegabilmente
vivo e vivace, e visto che è lui, va sempre bene così.