Album che ha fatto capolino in più di una lista
alla fine del 2023, comprese webzine di grido come Pitchfork, Gorilla
vs. Bear e persino la storica Rolling Stone, I’ve Got Me
è l’esempio calzante di opera folk che può accasarsi anche presso una
critica “alternativa” e poco avezza a frequentare l’universo del songwriting
d’ispirazione tradizionale. Secondo lavoro dell’artista newyorchese
Joanna Sternberg, che ha compiuto un curioso percorso di maturazione
musicale, potremmo dire “a ritroso”: da contrabassista con studi classici
alle spalle (una borsa di studio conquistata per il college) e un duro
tirocinio jazz che l’ha portata a suonare nel circuito dei club cittadini,
Joanna ha scelto infatti un’espressività minimalista, quasi fanciullesca
nella composizione delle sue ballate, legate all’essenzialità della scrittura
dell’american music, quasi provenissero dalla prima epoca del folk revival.
Composte in gran parte nell’appartamento di famiglia, quest'ultima di
chiare origini ebraiche, al quarantesimo piano del Manhattan Plaza sulla
42a strada, queste canzoni sono il riflesso diretto di un periodo di isolamento
e intimità, nel quale l’autrice (lei si definisce però persona non-binaria)
ha messo a nudo i suoi sentimenti utilizzando la fragile morbidezza delle
melodie, spesso in contrasto con il crudo, dolente contenuto delle liriche.
L’effetto ottenuto è quello di una raccolta di filastrocche per chitarra
e piano (i due principali strumenti utilizzati da Joanna per comporre)
che potrebbero apparire come vecchi standard perduti e ritrovati, quando
invece si tratta di una dozzina di nuove canzoni firmate dalla Sternberg
e incise in totale indipendenza (suona tutto lei) con il solo supporto
del produttore Matt Sweeney.
Volutamente sghemba, con una voce “infantile” e imperfetta, Joanna Sternberg
sembra abitare un luogo a sé nel panorama della nuova tradizione americana,
come annuncia la delicatezza della stessa I’ve
Got Me, una debole chitarra e una candida melodia folkie che
ci introduce al suo mondo appartato. Paragonata, per azzardo va detto,
al fantasma di una Karen Dalton, della quale certo richiama una certa
asprezza stilistica ma non ne possiede affatto le stesse affascinanti
sfumature vocali, Joanna potrebbe semmai apparire, soprattutto quando
siede dietro il piano in I Wll Be With You, Right Here o
Mountains High, come una versione
più gracile dell’ultima, acclamata Iris DeMent.
Le composizioni della Sternberg tuttavia nascondono una natura meno rurale
(anche se l’elettrica People Are Toys To You...) e più newyorchese,
inevitabile forse, con qualche lontana eco jazzy e gospel, che giostrandosi
fra chitarra (acustica ed elettrica) e pianoforte, emerge nella natura
di brani quali Stockholm Syndrome (tra
le più adorabili in scaletta), Drifting in a Cloud o il finale
di The Song, forse il passaggio che più ha solleticato, con la
sua dolce progressione folk soul e l’impostazione del cantato, il confronto
con la citata Dalton.
Una gracile materia folk probabilmente non adatta a tutti gli ascoltatori,
ma se amate le opere un po’ naif Joanna Sternberg potrebbe farvi
innamorare.