C'era una volta un gruppo di post-punkers londinesi
chiamate Goat Girl, impegnato a distillare una sarabanda di influenze
eighties (un po' di abrasività industrial-punk, un po' di "debauchery"
dark-wave, un po' di fremiti psychobilly...) in un suono abbastanza originale
da catturare l'attenzione della stampa britannica, che concesse loro il
canonico quarto d'ora di hype. Abbiamo scritto "c'era una volta" ma in
realtà la band è ancora qui e lotta insieme a noi, anche se dopo quel
primo album (2018), l'hype è scemato e qualche pezzo si è perso per la
strada. La bassista Naima Jelly (nome d'arte poi abbandonato per
riprendersi l'originario cognome Bock) si chiamò fuori poco dopo il tour
di supporto al primo album, per inseguire una vocazione cantautorale decisamente
folkeggiante, anche se non priva di tentazioni più barocche e sperimentali.
Uno sperimentalismo che ritroviamo nel secondo album solista, questo Below
a Massive Dark Land che si presenta con un brano, Gentle,
che sembra un riuscito matrimonio tra Laurie Anderson (nell'uso della
voce, soprattutto) e le decostruzioni jazz-folk di Robert Wyatt. Ce n'è
abbastanza da titillare la nostra curiosità e farci ben sperare su quello
che verrà dopo. E così, un brano alla volta, scopriamo nel disco la vocazione
a innestare sul tronco di un folk etereo - una filiazione di quell'universo
della canzone britannica un po' naif e sghemba che sta tra Vashti Bunyan
e Syd Barrett - foglie e fronde robuste e variopinte. C'è il corposo folk-rock
sporco di fiati di Feed My Release
che segue le divagazioni jazz di Kaley e precede il lied
cameristico - con tanto di arabeschi di arpa a decorare lo sfondo - di
My Sweet Body. Più avanti, Further Away
ammicca a un suono più americano, versante old time (Bonnie Prince
Billy? Gillian Welch? Scegliete voi) e dietro l'inno polifonico Takes
One non si fa fatica a intravedere riflessi celtici in controluce.
Ci sono anche canzoni che seguono una traiettoria più dritta, come Lines
- non faremmo fatica a immaginarla nel repertorio di Sandy Denny - o Age,
che assume una dimensione corale da marcia in crescendo. La voce da contralto
di Naima Bock si mantiene costantemente al centro dell'attenzione
e sembra plasmare l'aria (solida, direbbe qualcuno) intorno a sé, lasciando
vibrare ogni nota in un tempo sospeso. Fino al minuto e venti secondi
del brano conclusivo, Star, in cui la voce si duplica, in un gioco
di sovrapposizioni che ne rivelano la forza di strumento espressivo capace
di dipingere i suoni con una varietà sorprendente di colori. Nell'ambito
del cantautorato "tradizionale ma non troppo", difficilmente troverete
qualcosa di altrettanto intrigante, tra le uscite dell'anno.