[Home]
 
 
Acquista (#pubblicità)
Condividi
     
 

Naima Bock
Below a Massive Dark Land
[Sub Pop 2024]

Sulla rete: naimabock.com

File Under: Folk post-moderno


di Yuri Susanna (30/11/2024)

C'era una volta un gruppo di post-punkers londinesi chiamate Goat Girl, impegnato a distillare una sarabanda di influenze eighties (un po' di abrasività industrial-punk, un po' di "debauchery" dark-wave, un po' di fremiti psychobilly...) in un suono abbastanza originale da catturare l'attenzione della stampa britannica, che concesse loro il canonico quarto d'ora di hype. Abbiamo scritto "c'era una volta" ma in realtà la band è ancora qui e lotta insieme a noi, anche se dopo quel primo album (2018), l'hype è scemato e qualche pezzo si è perso per la strada. La bassista Naima Jelly (nome d'arte poi abbandonato per riprendersi l'originario cognome Bock) si chiamò fuori poco dopo il tour di supporto al primo album, per inseguire una vocazione cantautorale decisamente folkeggiante, anche se non priva di tentazioni più barocche e sperimentali.

Uno sperimentalismo che ritroviamo nel secondo album solista, questo Below a Massive Dark Land che si presenta con un brano, Gentle, che sembra un riuscito matrimonio tra Laurie Anderson (nell'uso della voce, soprattutto) e le decostruzioni jazz-folk di Robert Wyatt. Ce n'è abbastanza da titillare la nostra curiosità e farci ben sperare su quello che verrà dopo. E così, un brano alla volta, scopriamo nel disco la vocazione a innestare sul tronco di un folk etereo - una filiazione di quell'universo della canzone britannica un po' naif e sghemba che sta tra Vashti Bunyan e Syd Barrett - foglie e fronde robuste e variopinte. C'è il corposo folk-rock sporco di fiati di Feed My Release che segue le divagazioni jazz di Kaley e precede il lied cameristico - con tanto di arabeschi di arpa a decorare lo sfondo - di My Sweet Body. Più avanti, Further Away ammicca a un suono più americano, versante old time (Bonnie Prince Billy? Gillian Welch? Scegliete voi) e dietro l'inno polifonico Takes One non si fa fatica a intravedere riflessi celtici in controluce.

Ci sono anche canzoni che seguono una traiettoria più dritta, come Lines - non faremmo fatica a immaginarla nel repertorio di Sandy Denny - o Age, che assume una dimensione corale da marcia in crescendo. La voce da contralto di Naima Bock si mantiene costantemente al centro dell'attenzione e sembra plasmare l'aria (solida, direbbe qualcuno) intorno a sé, lasciando vibrare ogni nota in un tempo sospeso. Fino al minuto e venti secondi del brano conclusivo, Star, in cui la voce si duplica, in un gioco di sovrapposizioni che ne rivelano la forza di strumento espressivo capace di dipingere i suoni con una varietà sorprendente di colori. Nell'ambito del cantautorato "tradizionale ma non troppo", difficilmente troverete qualcosa di altrettanto intrigante, tra le uscite dell'anno.



<Credits>