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Eels
Eels Time!
[Pias/E-Works 2024]

Sulla rete: eelstheband.com

File Under: beautiful E


di Pierpaolo Tinelli (24/07/2024)

Fin dagli esordi, a metà degli anni ‘90, gli Eels sono sempre stati, senza ombra di dubbio, la creatura di Mark Oliver Everett, in arte E, americano classe 1963, di cui è autore, cantante, ma anche chitarrista e tastierista. Lo dico senza voler sminuire l’apporto dei molti validi musicisti (vedasi per esempio il batterista Butch Norton) che hanno, più o meno lungamente, accompagnato Mark Oliver in una proficua carriera ormai trentannale. Del resto, anche per l’ultimo lavoro, oggetto di questa recensione, le note di copertina, così come la cartella stampa, non danno molte informazioni in merito all’apporto dei collaboratori (i principali risultano essere Tyson Ritter e Koool G Murder), lasciando quindi intendere che il lavoro anche interpretativo e produttivo, oltre alla composizione, sia stato fatto proprio da E stesso, com’è avvenuto fin dall’album di debutto, Beautiful Freaks, capolavoro pubblicato nel 1996 dall’allora neonata DreamWorks.

Il disco uscito all’inizio di giugno di quest’anno, intitolato semplicemente ma efficacemente Eels Time!, si rivela essere il quindicesimo, ma la discografia annovera anche molti live e alcune raccolte, tra le quali vorrei segnalare quella intitolata Useless Trinkets, una vera miniera di brani non compresi negli album della prima parte di carriera. Mi piacerebbe includere Mark Oliver Everett nella gloriosa schiera dei “beautiful losers” che l’America ci ha regalato da oltre mezzo secolo, ma credo che sia un po’ ingeneroso. E’ incontrovertibile però che il nostro sia stato profondamente segnato da una serie di tragici eventi (familiari e non) e che presenti più di un’affinità con quegli artisti che hanno celebrato a modo loro una sorta di estetica della sconfitta. Come questi, anche Mark ha saputo raccontare e raccontarsi mettendo a nudo una certa fragilità, conseguenza di un vissuto familiare molto difficile, non tanto dal punto di visto economico, quanto per una certa tendenza alla depressione ed all'autodistruzione.

Senza dilungarsi (sono disponibili articoli e libri che approfondiscono episodi familiari degli Everett, cui si rimanda), vorrei solo citare i due eventi più tragicamente determinanti per Mark Oliver. Suo padre Hugh Everett è stato un fisico quantistico prestato professionalmente al Pentagono, ma il cui genio è stato riconosciuto appieno solamente dopo la morte prematura a cinquantuno anni, per un attacco di cuore, e ritrovato esanime in casa proprio dal figlio minore, all’epoca diciannovenne. Ancor più triste la fine della sorella maggiore di Mark, Elisabeth, sua prima fan ed incoraggiatrice nella perseveranza di una carriera nel business musicale. A circa un mese dall’uscita del vero esordio degli Eels, il già citato Beautiful Freak del 1996, la trentanovenne è stata rinvenuta morta all’ennesimo tentativo di suicidio, stavolta riuscito, dopo un lungo calvario di dipendenze, depressione e relazioni sbagliate. L’album seguente, uscito nel 1998 ed intitolato Electro-Shock Blues, risente ampiamente di questa tragedia nei testi (la morte è un tema ricorrente) e nell’atmosfera, ma con un risultato artistico altrettanto epocale quanto quello dell’esordio.

Se quest’ultimo Eels Time!, non riesce a raggiungere lo status dei due capolavori summenzionati, però non stona affatto al cospetto del resto della discografia, di qualità costante e di un livello medio secondo me difficilmente raggiungibile per buona parte di molti artisti, anche ben più celebrati. Inoltre non si possono che rimarcare la prolifica vena compositiva e il talento autoriale di E e le sue doti di performer dal timbro inconfondibile. Da segnalare anche la propensione ad arrangiamenti ormai riconoscibili, ma sempre curiosi, mai ripetitivi, con dettagli che attingono dalle più svariate tradizioni ed influenze, portando a una miscela unica di pop, folk, indie rock e Americana.

Nello scorrere dei brani non rilevo momenti che si possano definire deboli o, per usare un linguaggio ormai obsoleto, dei “riempitivi”. Mi sento di segnalare, come preferenze personali, i brani Sweet Smile e If I'm Gonna Go Anywhere, dove mi pare ci sia una certa affinità d’intenti con Daniel Johnston (un altro anti-eroe dell’underground americano). Se non si ravvisa alcun significativo scostamento stilistico, c’è sicuramente una coerenza con i precedenti album e una malinconia di fondo che resta il fil rouge che unisce la carriera alla sua stessa odissea esistenziale. Personalmente vi ho trovato un’ulteriore conferma del fatto che Mark Oliver Everett, in arte E, sia una figura di rilievo ed originale del panorama indie rock internazionale e un artista che sta meritando appieno il riconoscimento della critica e di un pubblico sicuramente non mainstream, ma nemmeno troppo confidenziale.


    


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